I nodi irrisolti del caso Telecom
di Patrizio Li Donni


Un groviglio di fili sembra attorcigliarsi intorno alla Telecom, croce e delizia dei vecchi e nuovi capitalisti italiani. La recente storia dei telefoni di stato è quella di una delle più striminzite privatizzazioni italiane con il sistema del nocciolino duro e poi della più rilevante Opa di Borsa, sempre italiana, nell’interregno di due diversi governi, comunque interni ad un'unica maggioranza politica. Ora è la storia di tuoni giudiziari per presunte irregolarità societarie che si annunciano all’orizzonte. Ad intricare ancor di più la matassa di fili intorno agli ex telefoni di stato, c’è lo scandalo dell’acquisto di Telekom Serbia, quello delle mazzette miliardarie e del finanziamento a Milosevic. Insomma siamo di fronte ad uno di quegli intrighi affaristici che farebbe gola a qualsiasi scrittore o sceneggiatore di cinema. Orson Welles lo chiamerebbe ancora Citizen Kane. Solo che a recitare la parte del miliardario in difficoltà questa volta sembra essere il ragionier Colaninno, capo della cordata bresciana che durante il governo D’Alema scalò, indebitandosi fino al collo, i telefoni che in precedenza erano stati privatizzati dal governo Prodi e controllati sostanzialmente da Torino.

Puro interesse economico, o convergenza politico-economica che fosse, le cose andarono così, la proprietà passò di mano con un colpo secco da classico blitz da manuale di finanza. I guai politici di D’Alema sembrano stranamente combinarsi con le disavventure finanziarie della scuderia di Colaninno e con un valore dei titoli quotati in borsa non sufficientemente elevato per resistere ai debiti contratti e non fare il botto con tutta la cornetta. Sicuramente c’è qualcuno assai speranzoso che questo accada, e che anzi sia un problema interno della ex maggioranza di governo lo dimostra il fatto che l’articolo rivelatore di inchieste Colaninno & soci sia apparso sulla Repubblica. Sinistra autolesionista o Telecom strategica per riconquistare quantomeno la speranza di tornare al governo? Perché? Forse la risposta la si potrebbe trovare nella famosa commissione d’inchiesta su Telekom Serbia che la Casa delle libertà ha sbandierato in occasione delle pressioni sul ministero della Giustizia e la questione Maroni. Certamente Telekom ha fatto ed ha continuato a fare grosse operazioni all’estero, in giro per il mondo, e la sua forza e la sua posizione strategica nel business delle comunicazioni fanno gola a molti, sia nel mondo capitalistico che in quello politico. In quest’ultimo, soprattutto per gli eventuali vantaggi che un controllo amico su una azienda così imponente può generare su un gruppo politico. Certo è ancora molto strano che l’ex consigliere della Telecom Benessia, che ha scatenato l’ultima bufera sulla scuderia Colaninno, sieda ora nel Cda della Fiat.

Per la questione serba invece buio pesto. Chiaro ormai che la Cdl sventolerà in faccia all’opposizione la Commissione d’inchiesta ad ogni momento opportuno. Appare molto più probabile che il nodo intorno al telefono si possa sciogliere intorno alla proprietà, liberando la vecchia e facendone giungere una nuova. Della partita è anche Mediobanca, senza più il grande vecchio Cuccia, che se non rammentiamo male incontrò Colaninno e qualche politico a casa di un giovane e rampante capitalista romano. Infatti detiene ancora una quota di azioni decisiva che unite a quelle di Hopa la società protagonista della scalata, consentono a Colaninno di detenere l’Olivetti - tassello chiave nel controllo dell’ex monopolista telefonico. Corre il filo Telecom intorno alla cornetta: qualcuno rimarrà impigliato e abbiamo la sensazione che accadrà presto.

22 giugno 2001

freccia@libero.it


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