Il fallimento della politica anti-nucleare in Italia
di Patrizio Li Donni


Nuclear power ? No thanks! Qualcuno lo ricorda? Era lo slogan che accompagnava il sole che ride in una campagna tutta gadget, fatta di spillette, adesivi e magliette. Era l’ormai lontano 1987, quando sull’onda emotiva del disastro sovietico di Cernobyl, allora l’Urss era infatti ancora in piedi, in Italia si celebrò il referendum che bloccò la costruzione di centrali nucleari. Da allora la nostra politica energetica non è cambiata, come non è cambiata la nostra dipendenza dal petrolio con tutte le conseguenze inflattive, generate dall’aumento del prezzo del greggio, e inquinanti di una economia basata su energia non troppo pulita. La scelta emotiva di allora non fu seguita da un piano serio di sviluppo delle fonti energetiche alternative cosiddette rinnovabili (eolica, solare, biomasse) a causa degli altissimi costi di gestione degli impianti. Né nell’ultimo governo rosso-verde, abbiamo visto una sola iniziativa politica e finanziaria, ma neanche un dibattito nel paese sulle energie alternative. Cosicché a quindici anni di distanza ci ritroviamo al punto di partenza. Con poca energia, prezzi sempre influenzati dal petrolio e aria irrespirabile. 

Con una differenza però. Oggi, più di allora c’è un pressante bisogno di energia per sostenere lo sviluppo economico nell’era della globalizzazione, congiunto ai problemi dell’inquinamento con Kyoto e il suo protocollo e un ritmo di estrazione del petrolio non più incrementabile. Non manca cioè il petrolio, manca la capacità di estrarlo più rapidamente e metterlo a disposizione sul mercato. In più l’Europa non può permettersi di dipendere più dalle bizze dei paesi del Medioriente, sempre troppo instabili sul piano politico. Non sembra esserci alternativa allora che tornare al nucleare, per garantire uno sviluppo con energia a basso costo e senza emissioni, compatibile così con Kyoto e un ambiente pulito.

Da un punto di vista legislativo non dovrebbe essere poi un grande problema. Il referendum infatti proponeva solo una moratoria di 5 anni e abrogava gli articoli che lasciavano al governo la potestà di localizzazione degli impianti. Se qualcuno poi volesse innalzare di nuovo i vessilli dell’anti-nuclearismo, gli si obbietterà che i nostri cugini francesi, governati da Jospin e con una maggioranza rosso-verde, non solo producono l’ottanta per cento della loro energia attraverso il nucleare, che hanno le loro centrali a ridosso dei nostri confini, ma che questa stessa energia ce la vendono e pure cara. E se non dovesse bastare si può loro ricordare che il monopolista francese dell’energia vaga in Europa con molti soldi in tasca per fare acquisti all’estero, ultimo in ordine di tempo il caso Edf-Montedison, momentaneamente sventato con decretino protezionistico concertato da sinistra uscente e governo Berlusconi entrante. Senza contare i soldi spesi per la riconversione di Montalto di Castro e la chiusura, tra le altre, di Trino Vercellese e di Borgo Sabotino. E’ il momento di mettere fine alle paure e alle emozioni e farsi due conti in tasca, senza aspettare di copiare Bush e capire che, dopo vent’anni e con le tecnologie a disposizione oggi, il nucleare è sicuro e conveniente e soprattutto non è inquinante.

15 giugno 2001

freccia@libero.it









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