La vera storia della politica energetica di Bush
di Stefano Da Empoli

Il piano per l’energia di Bush, lanciato nelle scorse settimane, è una dichiarazione di guerra alle tante ipocrisie che sono solite circondare il dibattito in materia. Come ha scritto David Brooks, giornalista neo-conservatore autore del saggio cult “Bobos in Paradise”, quella del presidente statunitense è stata un’assunzione di responsabilità, a nome del popolo americano, di fronte ad una distonia ormai evidente tra i crescenti bisogni energetici e una sempre più anemica produzione domestica. Anziché scegliere la soluzione populista alla Davis, governatore democratico della California, che ha incolpato le imprese produttrici di tutti i mali elettrici del Golden State, Bush ha detto chiaro e tondo che se gli americani vogliono consumare più energia devono sapere che questo può richiedere dei sacrifici (ridotti) in termini di protezione dell’ambiente. Peraltro, meno ingenti di quello che si ascolta in giro. Perfino l’esplorazione e la produzione di petrolio nella riserva artica dell’Alaska, forse la misura più controversa del pacchetto Bush, avrebbe un impatto limitato sull’ecosistema dell’area perché sarebbe effettuata al largo, compatibilmente con gli standard più comuni di protezione ambientale. Il gioco vale la candela, sembra suggerire il presidente americano, e se proprio non la valesse devono essere i cittadini stessi a deciderlo con un semplice clic di interruttore.

Decenni di demagogia ambientalista a senso unico hanno portato a una situazione energetica insostenibile. L’amministrazione Clinton ha condotto una battaglia a tutto campo al nucleare, al carbone, all’energia idroelettrica e alla produzione di petrolio, che insieme costituiscono ben oltre il 70 per cento delle fonti di approviggionamento statunitense. Dal momento che le tanto citate energie alternative si stanno comportando alla stregua di Godot, creando attese lungi dall’essere corrisposte, la dipendenza dall’estero rischia di diventare un incubo per un paese geloso della propria autonomia come gli Stati Uniti. Servirebbe a poco proteggersi dall’esterno mediante il programma di difesa anti-missile se poi si è alla mercé dei volubili voleri elettrici di paesi non necessariamente amici, come il Venezuela e i paesi arabi. Ad una recente serata di gala organizzata dal liberista Competitive Enterprise Institute, think tank washingtoniano, è stato lo stesso ministro per l’energia Spencer Abraham a ricordare la gravità della situazione.

Nei prossimi venti anni è previsto che la domanda di energia aumenti di oltre il 30 per cento. A fronte di questa prospettiva di incremento dei consumi, il lato dell’offerta non si è adeguato ma anzi per certi versi ha compiuto un salto all’indietro. La produzione di petrolio è diminuita del 39 per cento rispetto al 1970. Negli ultimi venticinque anni non è stata costruita neanche una raffineria. Dal 1979, data dell’incidente di Three Mile Island, centrale nucleare della Pennsylvania, peraltro senza conseguenze in termini di vite umane, non si concedono permessi per la costruzione di impianti a fissione. Un controsenso, dal momento che l’energia nucleare è oggi conveniente più che mai. Scarsissime emissioni di diossido di carbonio, design più sicuri e meno costosi come il Westinghouse AP-600 e durata in esercizio più prolungata (dagli originari 40 anni si è passati per gli impianti più sicuri a 60), oltre all’attuale caro-petrolio, costituiscono un mix irresistibile per qualunque governante di buon senso. A questo si aggiunga che l’energia idroelettrica è destinata ad avere un ruolo sempre minore per motivi strutturali.

La riforma di Bush cerca un equilibrio più realistico tra produzione e conservazione di energia, offrendo un menu più ampio di scelte. A parte uno zoccolo sottile di regolamentazione ambientale, sarà il mercato a decidere quale fonte premiare, Senato a maggioranza democratica permettendo. Senza fare ricorso a pauperismi auto-lesionisti ma lasciando operare nella maniera più efficiente possibile i meccanismi della domanda e dell’offerta. Ricordando che l’uomo e le sue necessità sono misura di tutte le cose. Non ultimo di una seria politica energetica.

15 giugno 2001

stefanodaempoli@yahoo.com



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