Rilanciare la crescita italiana: la ricetta di Antonio Fazio
di Massimo Lo Cicero


Il Governatore ha onorato la tradizione di via Nazionale ancora una volta. Che cosa sia e cosa faccia la Banca d’Italia, dopo la creazione del sistema europeo delle banche centrali e della banca centrale europea; quali siano le dinamiche recenti e le prospettive dell’economia mondiale, del sistema finanziario italiano e dell’economia del nostro paese; quali siano i problemi e in che direzione debbano essere ricercate le soluzioni, di una ripresa della crescita italiana sono i temi che Antonio Fazio ha affrontato in trentatré cartelle di testo: il 3 per cento (una pagina) dedicato alla declinazione dell’identità operativa dell’istituzione che presiede; il 10 per cento(tre pagine) alle conclusioni sull’agenda necessaria della politica economica; tre parti assai bilanciate, 27 per cento, rispettivamente al mondo e al sistema finanziario italiano, 33 per cento alle vicende economiche nazionali. 

Ma quello che è stato letto il 31 maggio nelle sale di via Nazionale non è solo un testo bilanciato ed equilibrato sul piano del peso relativo dei contenuti. E’ stato letto un testo che liquida i luoghi comuni in voga, con la forza delle cifre e dei fatti che li smentiscono, e che esprime giudizi netti e decisi sugli interrogativi che animano la scena economica internazionale. Le risposte a questi interrogativi non sono convenzionali ma il Governatore non ha esitazioni nel mostrare le proprie opinioni. Il senso della misura e del rispetto del ruolo è presente nello stile, nella forma e nei contenuti: l’agenda delle conclusioni non indica quello che il nuovo governo dovrebbe fare ma quello che sarebbe necessario realizzare, per rilanciare la crescita allentando i vincoli strutturali che l’hanno frenata. Come allentare quei vincoli, con quali strumenti, con quale ripartizione tra costi e benefici da proporre alle parti sociali è compito del governo: è quello che distingue uno stile di comportamento e una filosofia sociale capaci di identificare politicamente la maggioranza parlamentare e qualificare l’esecutivo che essa esprime.

Il Governatore formula la diagnosi e gli obiettivi della terapia, ribadisce lo spazio dei suoi compiti propri di banchiere centrale, che appartiene ad un’architettura federale di banche centrali, lascia libero il medico, cioè il governo prossimo venturo, di scegliere sia i contenuti specifici che le modalità di somministrazione della terapia. Qualche esempio di merito aiuta a capire meglio lo spirito di questa ultima relazione di Antonio Fazio. E’ stato un bene creare una moneta che rendesse solidali tra loro le economie europee: perché questa integrazione ha generato un mercato all’interno del quale diventano più visibili gli attriti e le frizioni che possono generare inflazione. Su questi attriti non si interviene con la politica monetaria ma creando infrastrutture per migliorare trasporti e telecomunicazioni e vigilando sul regime di competizione e la formazione di cartelli e poteri unilaterali di fare il prezzo delle merci. E’ stato un bene anche perché l’euro si è potuto svalutare, rispetto ad un dollaro che era oggettivamente rafforzato dalle dinamiche innescate dalla globalizzazione dei mercati finanziari. Le economie europee hanno ottenuto un grado di libertà per difendere la propria capacità di esportare e tutelare il benessere delle famiglie e la competitività delle imprese, che operano nel vecchio continente. L’euro è una cosa buona ma la politica della Federal Reserve anche. Maestro Greenspan ha pilotato il soft landing dei corsi azionari con grande perizia e abilità. Nessuno si è rotto l’osso del collo in questo atterraggio ma i corsi azionari, come multiplo dei guadagni osservati, sono calati del 20 per cento negli Stati Uniti e del 25 per cento in Italia. Fazio non mostra solo apprezzamento per il comportamento di Greenspan; egli condivide e consolida con una scelta di lessico l’avvenuta rivoluzione metodologica nell’analisi dei mercati finanziari. 

La descrizione della scena mondiale, alla seconda pagina della relazione, parte dal rapporto tra prezzo e utili, il mitico P/E, e da questo fa discendere l’individuazione della radice dell’eccesso di euforia. Una sovrastima generalizzata delle capacità espansive della industria delle telecomunicazioni e della tecnologia innovativa nel trattamento delle informazioni. La new economy è molto variabile, cioè più rischiosa, e chi riesce a guadagnare ottiene performance notevoli come altrettanto notevoli sono le perdite ex post di chi sbaglia. La old economy è più stabile ma anche i suoi rendimenti sono meno esaltanti. La nuova teoria non smentisce la relazione tra rischio e rendimento ma la vera scommessa è rendere più efficiente tutto il mondo, applicando le nuove tecnologie alle vecchie organizzazioni industriali. Se la tecnologia può rendere il mondo più veloce, la politica e le istituzioni lo devono rendere più giusto. Perché la crescita, per essere stabile nel tempo, deve potersi fondare su un criterio condiviso di utilizzo delle risorse. Organizzazioni internazionali, laiche o religiose, come le Nazioni Unite o la Chiesa Cattolica, possono e debbono impegnarsi per realizzare questo traguardo di prosperità, pace e benessere che è conseguibile se sappiamo governare e domare le forze sprigionate dai mercati.

L’Italia è un paese debole nel contesto europeo: presenta patologie estreme e ritardi nei punti di forza che altre nazioni del vecchio continente possono vantare. L’Italia ha il problema delle pensioni, accentuato da demografia e rallentamento della crescita, come il resto d’Europa ma ha anche imprese troppo piccole, mercati del lavoro troppo rigidi, una finanza pubblica che insegue la stabilità necessaria aumentando la pressione fiscale, senza che nessuno intervenga sul riordino dell’organizzazione operativa delle amministrazioni pubbliche. Un welfare inefficiente penalizza i deboli e promette troppo a chi potrebbe e dovrebbe affrontare sul mercato finanziario il problema della sua previdenza integrativa. Infrastrutture, pensioni, sanità, controllo della spesa negli enti locali. Questa l’agenda suggerita al nuovo governo per ottenere maggiore efficienza nella pubblica amministrazione e una riduzione di un punto percentuale all’anno nella pressione fiscale per i prossimi cinque anni, azzerando l’aumento di sei punti che è stato generato nella seconda metà degli anni Novanta. Un’impresa possibile solo se aumenta il tasso di crescita e se migliorano la capacità del sistema finanziario di intermediare la ricchezza e quella delle imprese di produrla, espandendosi in direzione del nuovo che cresce e non verso produzioni tradizionali e rendite che, prima o poi, si assottigliano. 

Giudizi duri per tutti che non rinunciano alla speranza di un nuovo miracolo economico: che rappresenta una esortazione, una metafora e una testimonianza del pessimismo della ragione. Perché il miracolo lo dovrebbero fare, come accadde negli anni Cinquanta, gli italiani; perché si tratta di ritrovare quella virtuosa combinazione tra crescita, espansione del benessere e riforme che si smarrì negli anni Settanta. Una lucida testimonianza del pessimismo della ragione perché, se ci vuole un miracolo, lo stato delle cose farebbe ritenere probabile un esito negativo e pericoloso della situazione. Ma i miracoli, sembra ricordarci Fazio, sono quasi una caratteristica del nostro spirito nazionale, quando trova catalizzatori opportuni: non si era detto che l’entrata nell’euro fosse stata un miracolo dovuto alla determinazione di Ciampi e alle sue capacità di essere il catalizzatore di quel processo? Ci vuole, di nuovo, un grande sforzo comune e non c’è più tempo o spazio per liti tra comari. Ci servono l’intelligenza e la determinazione di tutti gli italiani per evitare che, quando il treno mondiale ripartirà nel 2002, la carrozza italiana resti ferma sul binario morto della stazione.

1 giugno 2001

maloci@tin.it









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