Il Sud dell'Italia è sempre più Sud
di Paolo Passaro


La politica del governo per lo sviluppo delle regioni del Mezzogiorno d'Italia ha seguito diverse e variegate impostazioni. Si è passati dalla costruzione di infrastrutture primarie (acquedotti, strade, elettrificazione, eccetera) durante la stagione "eroica" della Cassa per il Mezzogiorno, negli anni Cinquanta, alla successiva fase di politica industriale basata sui grandi "poli" di sviluppo. Questa fase è durata fino a metà degli anni Settanta. Gli shock petroliferi e il mutare delle condizioni internazionali hanno bruscamente interrotto questo trend. Alla fine degli anni Ottanta si estinse, per carenza di fondi, l'esperienza della Cassa per il Mezzogiorno. Solo nella seconda metà degli anni Novanta, in relazione ai fondi vincolati dell'Unione Europea, sono intervenuti gli incentivi basati su contenuti progettuali, di cui la legge 488/92 è l'emblema.

Facendo un bilancio dell'intervento nel Mezzogiorno, però, recenti statistiche elaborate dall'Unione Europea fanno venire i brividi. Nel periodo 1988-1998 le zone "obiettivo 1" dell'Italia meridionale hanno visto un aumento del divario rispetto al reddito medio dell'Unione Europea. Mentre Irlanda, Portogallo, Grecia riducevano sensibilmente il divario nei confronti dell'Europa, nel Mezzogiorno d'Italia la differenza si è acuita, peggiorando di oltre 30 punti percentuali. Molteplici sono i fattori ambientali che hanno influito. In primis, non si può tralasciare la nefasta influenza della illegalità diffusa sul territorio. Illegalità che si manifesta sia nella criminalità cosiddetta "minore", (con furti, rapine, scippi), sia nello strapotere delle organizzazioni criminali, che sfruttano su larga scala il contrabbando di armi, sigarette, droga, vite umane. Il Mezzogiorno non potrà essere in grado di attrarre investimenti esogeni e attivare flussi indogeni (dato l'alto livello di risparmio) finché non saranno assicurate le necessarie condizioni di sicurezza. Inoltre, i vincoli che ingessano l'economia a livello nazionale (burocrazia inefficiente, eccesso di leggi e decreti, scarsa flessibilità del mercato del lavoro) sono nel Mezzogiorno acuiti dalla minore dotazione di infrastrutture.

La combinazione di tali fattori determina l'accentuarsi del fenomeno dell'economia "sommersa". Per altro, la crescita media del Sud è attualmente maggiore rispetto a quella del Centro Nord (partendo da una base di calcolo minore) trainata dal settore costruzioni e, soprattutto, dall'export. In tale situazione la politica degli incentivi per favorire l'uscita del Meridione d'Italia dalla condizione di "depressione" va rivista. Lo schema non può essere quello, già sperimentato, di semplice "infrastrutturazione" o di costruzione di cattedrali nel deserto. Va studiata, a livello regionale, una politica industriale che tenga doverosamente conto delle attitudini e delle preferenze espresse dal territorio. Le prospettive federaliste debbono assecondare una spiccata autonomia di scelta della strumentazione per ottenere l'obiettivo di uscita dal sottosviluppo. Sono assolutamente da evitare incentivi a pioggia indifferenziati; al contrario, nei limiti del patto di stabilità, va assolutamente individuata anche in contraddittorio con Bruxelles una forma di effettiva diminuzione delle imposte, soprattutto verso le imprese. Qualsiasi altro strumento di incentivazione agli investimenti, poco mirato ed indifferenziato, anche mediante procedure concorsuali come la 488/92, non potrà che essere un palliativo. Nel 2006 cesserà l'afflusso di risorse comunitarie verso il Mezzogiorno. Arrivare a quel limite, nelle condizioni di oggi, sarebbe un'incredibile dimostrazione di incapacità e condannerebbe una rilevante parte dell'Italia ad un umiliante ruolo di secondo piano.

24 aprile 2001

paolo.passaro@libero.it








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