Rapporto Ceis: le risposte ai ritardi dell'Italia
di Cristiana Vivenzio


"Dove va l'Italia?". E' quanto di chiedono in questi giorni di bilanci e programmazioni le parti economiche del paese, citando Andrea Monorchio, Ragioniere generale dello stato. Sarebbe meglio chiedersi: "Dove dovrebbe andare l'Italia dell'economia"? All'incontro di Parma la Confindustria di D'Amato fissa al 4 per cento i termini di crescita economica cui dovrebbe far fronte il prossimo governo e, denunciando i forti ritardi accumulati dal nostro paese praticamente su tutto (dai trasporti ai vincoli burocratici) chiede al futuro esecutivo la capacità di creare più occupazione, un riallineamento del Sud al Nord del paese e una politica di intervento per recuperare competitività con l'estero. Una risposta valida in termini di operatività al "dove dovrebbe andare l'Italia" la forniscono gli economisti del Ceis, il Centro interdipartimentale di studi internazionali sull'economia e lo sviluppo, della Facoltà di Economia di Roma - Tor Vergata, che martedì scorso hanno reso noto, alla presenza di nomi autorevoli dell'economia e della finanza, il Rapporto sulla politica economica nel nostro paese.

Al centro dell'analisi un dato su tutti: negli ultimi cinque anni l'Italia ha mostrato un fortissimo ritardo nei confronti dei principali paesi dell'Ocse soprattutto per quanto riguarda il tasso di crescita della produttività. Questo mentre negli altri paesi appartenenti all'Ocse si è assestato in media attorno al 2-2,5 per cento annuo, e negli Stati Uniti è cresciuto del 2,7 per cento, in Italia non ha superato l'1 punto percentuale, fermandosi a 0,8 per cento. Analogo ritardo il nostro paese lo mostra quando si guarda al valore del Pil. Rileva il rapporto che il prodotto interno lordo italiano è aumentato in un anno dell'1,4 per cento, contro il 4,5 degli Usa e lo stesso 4,5 per cento medio dei paesi Ocse. Come è possibile, dunque, colmare questo ritardo dell'Italia rispetto agli altri paesi dell'occidente industrializzato? In una qualsiasi economia di mercato - si legge nel rapporto - mantenere un livello di produttività crescente significa dare impulso alla crescita e contenere la disoccupazione. In primo luogo poiché un'aspettativa di crescita della capacità produttiva incentiva la domanda di lavoro. Un datore di lavoro sarà disposto a sostenere oggi i costi di formazione e di impiego di nuova forza lavoro per ottenere profitto domani. In secondo luogo poiché comporta un innalzamento del livello retributivo rispetto al passato. Ma quali sono i rimedi per favorire un aumento della produttività anche in Italia? 

Gli economisti di Tor Vergata, prendendo le mosse dalla constatazione in base alla quale i paesi europei che hanno subito un maggior aumento della disoccupazione sono stati proprio quelli che hanno manifestato un calo del livello di produttività, suggeriscono alcune possibili risposte. Da una parte l'accorpamento delle aliquote contributive sul reddito delle persone fisiche. Questo porterebbe a una semplificazione e allo snellimento del sistema fiscale - prevedendo inoltre un meccanismo di esenzione per i più deboli (che arriva ad essere totale per chi possiede un reddito inferiore ai 15 milioni) - e al contempo produrrebbe un incentivo all'offerta di lavoro. Questo tipo di intervento, attuabile, secondo le ipotesi, nell'arco di 3-4 anni, provocherebbe sì una diminuzione delle entrate per un ammontare di circa 42mila miliardi, ma la riduzione di entrate dovrebbe essere riequilibrata, secondo Tor Vergata, da una politica più decisa di privatizzazioni e dall'attuazione di una serie di misure di policy che colmino il gravoso ritardo italiano degli investimenti in un settore specifico come quello della tecnologia dell'informazione e della comunicazione (installazione di computer, hardware informatico e software). Il nuovo governo dovrebbe, infine, incidere marcatamente sulla politica fiscale per le imprese, introducendo incentivi che consentano da un lato una riduzione del costo del lavoro e un aumento della redditività delle imprese stesse e dall'altro una maggior disponibilità per queste da investire nella formazione di personale altamente qualificato e nell'introduzione di nuovo tecnologie.

Quest'ultimo elemento, non in termini d'importanza, merita un posto privilegiato nell'analisi economica del Ceis: il circolo virtuoso che verrebbe innescato dalla connessione tra lo sviluppo in Italia delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Ict) e la crescita della produttività, fatto chiaro dall'esempio statunitense. L'innalzamento dei livelli di diffusione della Itc, infatti, consentirebbe un aumento generale della produttività di settore, e questo senza richiedere impieghi ulteriori di capitale, ma soprattutto inciderebbe in misura consistente sulla condizione occupazionale, moltiplicando da un lato la richiesta di personale altamente specializzato e dall'altro l'importanza della formazione. Entrambi questi elementi richiederebbero, infatti, uno sforzo in termini di investimento da parte delle aziende, sforzo che potrebbe essere realizzato attraverso forme di compartecipazione pubblico-privato. In conclusione, due sono gli elementi sui quali, secondo il rapporto Ceis, è necessario incidere per avviarsi su un terreno di crescita costante, poiché due sono i fattori che rallentano il percorso di crescita: da un lato il basso tasso di innovazione tecnologica, soprattutto quella connessa alla diffusione dell'Ict, dall'altro quello che gli anglosassoni chiamano il business environment. Per il miglioramento del quale sarebbe necessario incidere maggiormente sugli aspetti istituzionali e sociali oltre che economici. Molto si raggiungerebbe - concludono gli autori del rapporto - con una complessiva riduzione della pressione fiscale e con un mutamento della regolamentazione dei mercati, a cominciare da quello del lavoro.

20 marzo 2001

c.vivenzio@libero.it





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