Tecnologie e fisco: la ricetta della crescita
di Massimo Lo Cicero


La proposta di politica economica che gli economisti del Ceis, il centro interdipartimentale della Facoltà di Tor Vergata, hanno presentato nelle sale dell'Istituto Sturzo ha più di un tratto innovativo. In primo luogo la circostanza che un'imponente manovra fiscale di detassazione venga considerata per i suoi effetti microeconomici e non per quelli di carattere macroeconomico, che vengono comunque tenuti in considerazione. La macroeconomia, tuttavia, entra nel ragionamento solo perché rappresenta un vincolo e non l'obiettivo della manovra ipotizzata. E' il rispetto del patto di stabilità firmato con gli altri paesi europei che spinge a misurare la portata della detassazione proposta. Non siamo in presenza, in altre parole, di una spinta di carattere ciclico al ritmo della domanda aggregata: perché si allarghino le dimensioni delle vendite e l'offerta effettiva si adegui all'offerta, potenzialmente esistente, nel sistema economico. Non è una proposta da "Bastard Keynesians". Il vincolo di essere e restare in Europa una volta misurato l'impatto della manovra viene rispettato affiancando alla detassazione, che restringe le entrate, un'accelerazione delle dismissioni per le residue azioni in grandi conglomerati economici, ancora detenute dal ministero del Tesoro. Questa scelta genera molte conseguenze rilevanti: riduce e ridimensiona definitivamente lo stato imprenditore; consente di riacquistare parte del debito pubblico in circolazione e riduce, per questa strada, il carico degli interessi liquidati, cioè una voce importante delle uscite pubbliche, anche assumendo costante il livello dei tassi.

La natura microeconomica dell'operazione si legge nella tipologia dell'imposta destinataria dell'azione: quella sul reddito delle persone fisiche e non quella delle persone giuridiche. L'Irpef e non l'Irpeg o l'Irap. Una scelta che non rinuncia a ridefinire anche il profilo delle imposte dirette sul reddito d'impresa o delle imposte sul valore generato dalla produzione (Irap) ma che intende restituire alle famiglie la capacità di decidere e orientare le scelte del sistema produttivo. Una scelta, dunque, coerente con altre opzioni di politica sociale, come il ricorso ai voucher che le famiglie stesse possono impiegare per acquistare servizi, sanitari o educativi, da strutture not for profit. Una scelta di libertà perché consente alle stesse famiglie di non restare in una condizione di mera dipendenza passiva dalla scelte di una macchina pubblica che eroga servizi, la qualità dei quali non è mai contestabile o sanzionabile. L'utilizzazione dell'aliquota dell'irpef come architrave della manovra diventa, infine, uno strumento di redistribuzione con un forte contenuto solidaristico verso la fascia più debole della popolazione: l'esenzione totale per i redditi inferiori a 15 milioni annui, l'esenzione dei primi quindici milioni per i redditi inferiori ad 80 milioni annui e l'individuazione di due sole aliquote, sopra e sotto quella soglia di ottanta milioni, rappresentano oggettivamente un segnale di attenzione verso coloro che stanno alla base, e nelle prime falde della piramide sociale, e non alla cima di quella costruzione virtuale. Insomma, con questa manovra le decisioni di spesa si spostano tendenzialmente dalle mani della burocrazia pubblica a quelle delle famiglie. Come se qualcuno ridistribuisse le carte e invitasse a giocare una nuova mano nella partita della crescita.

Questa riallocazione della capacità di scegliere si collega all'enfasi sui fattori della produzione: essi rappresentano la leva di lungo periodo per dilatare e incrementare il benessere. Liberare capitale e lavoro dalla discrezionalità delle amministrazioni pubbliche e dalla rigidità delle soluzioni gerarchiche è la condizione necessaria, infatti, di una espansione economica capace di durare nel tempo. Orientare larga parte dei nuovi consumi, in materia di formazione e di educazione delle giovani generazioni, e della nuova capacità di produrre, in termini di composizione della ricchezza prodotta, verso le applicazioni della information and communication technology (Ict) rappresenta, infine, il tentativo di avviare una trasformazione profonda e irreversibile del modo di lavorare e di percepire il processo lavorativo: sottraendosi alla tentazione di inseguire i paesi emergenti, la burocrazia pubblica e la rigidità sindacale sul terreno del costo orario del lavoro e su quello degli incentivi che riducono il costo unitario del capitale per addetto.

20 marzo 2001

maloci@tin.it





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