"Dobbiamo riconquistare la sovranità
espropriata dal mercato"

intervista a Paolo Savona


Cosa vuol dire riempire il vuoto politico della globalizzazione e cosa è questo vuoto politico?

Noi riteniamo che il mercato globale stia rendendo un ottimo servizio allo sviluppo e al benessere del mondo. Tuttavia, esso può presentare dei difetti dal punto di vista del funzionamento, se non vi è un intervento politico. Ma questa, come è noto, è una vecchia questione nelle relazioni fra mercato (che non è una creatura spontanea, ma è una creatura politica) e stato. Ecco allora che prendiamo atto che il mercato globale tende ad espropriare le sovranità nazionali (si parla addirittura di fine degli stati nazionali grazie allo sviluppo del mercato globale). Noi riteniamo invece che le sovranità nazionali, conquistate anche con il sangue da parte dei nostri genitori e progenitori, debbano essere oggetto di un ripensamento politico. Di una sorta di riconquista della sovranità che il mercato sta espropriando, ovviamente laddove questa sovranità spetti allo stato. Ad esempio la moneta. C'è da segnalare il comportamento delle autorità sovranazionali. Queste da un lato stanno aiutando gli stati a riconquistare la sovranità, fissando al contempo regole internazionali, però dall'altro lato tendono ad impossessarsi in proprio della sovranità. E questo noi lo riteniamo sbagliato: le autorità sovranazionali debbono riprendersi sovranità, ma per restituirla allo stato. E qui avanziamo la teoria della sovranità bilanciata. 

Nel libro voi sostenete che se è vero che fino ad oggi sono state superate le crisi del mercato globale, questo è avvenuto con affanno, affidandosi alla locomotiva degli Usa. Da oggi in poi questo potrebbe non essere sufficiente. In che senso?

Noi da un lato apprezziamo il fatto che gli Stati Uniti fungano da locomotiva del mercato globale. Ma dall'altro sosteniamo la tesi che questo ruolo di locomotiva degli Usa può venir meno (come peraltro in parte si sta verificando proprio in questi giorni), e quindi bisognerebbe avere almeno un altra locomotiva in hangar. Ora, siccome il Giappone non riesce minimamente a riprendersi, noi candidiamo l'Europa a questo ruolo. Ma affinché questo avvenga, occorre che l'Europa e le singole nazioni, si rimpossessino della sovranità. Questa è la prima traccia del libro. O noi riusciremo a far domiciliare le sovranità presso i centri decisionali e non esclusivamente presso il mercato e presso pochissime nazioni del mondo (ed ecco quindi il discorso delle locomotive) o non riusciremo a mantenere un ritmo di accumulazione delle ricchezze capace di soddisfare le aspettative dei popoli del mondo. Noi insistiamo moltissimo su questo tema: la grande invenzione della democrazia è stata quella di riportare la sovranità nelle mani del popolo. Il quale, votando, nomina parlamenti e governi, assumendosi le relative responsabilità. Insomma, la democrazia ha messo insieme sovranità e responsabilità. Nel mercato globale questo meccanismo è saltato.

Ci spieghi...

Il mercato globale espropria la sovranità monetaria ed espropria anche la sovranità fiscale: i parlamenti non sono più liberi in ambito fiscale perché se il parlamento di un paese X dovesse decidere di aumentare le tasse, l'indomani quel paese potrebbe facilmente essere vittima di una crisi valutaria o addirittura di una crisi finanziaria. E quindi quel parlamento deve tornare indietro.

Come recuperare allora questa sovranità?

Facciamo l'esempio della Wto, l'Organizzazione mondiale del commercio. Attualmente essa è un luogo dove si negoziano regole per la liberalizzazione dei mercati. Anche recentemente abbiamo assistito alla liberalizzazione dei brevetti e dei diritti di autore e dei relativi accordi. Una volta che il Wto ha definito le regole, ogni stato si rivolge al proprio parlamento per la ratifica e quindi si assume le responsabilità di rispettarle. In altre organizzazioni, invece, come il Fondo monetario internazionale o la Banca centrale europea, vi è stata una vera espropriazione della sovranità nazionale degli stati, senza che ci sia stato un parallelo progresso della sovranità popolare in un parlamento tale che riporti in equilibrio, in rapporto, sovranità e responsabilità. Allora bisogna metterci le mani: in Europa o facciamo lo stato europeo con tutte le caratteristiche dello stato, oppure restituiamo la gestione della politica monetaria agli stati nazionali.

Questo per quello che riguarda il livello europeo...

Certo. A livello mondiale ovviamente la cooperazione deve portare allo stesso obbiettivo. La cooperazione monetaria internazionale deve riportare sotto controllo il mercato della moneta.

Come?

Intanto c'è immediatamente da chiarire che i cambi non possono essere fissati dal mercato, altrimenti inevitabilmente il mercato stesso, alterando i rapporti di cambio, altera le possibilità di esportazione e importazione e cioè la competitività del paese.

Ma questo vuol dire che vi è necessità di una nuova Bretton Woods?

Naturalmente la mia proposta non è quella dei cambi fissi, bensì dei cambi coordinati, nel senso che occorre una responsabilità internazionale. Lasciando i cambi flessibili, come lasciano gli Stati Uniti, da un lato si chiede il mercato globale e si invocano queste regole del mercato per controllare bilanci pubblici e mondo del lavoro, ma dall'altro si consente ad ogni paese di proteggersi attraverso variazioni del rapporto di cambio più o meno indotte. Ma in tal modo si rompe proprio l'unità del mercato globale.

Lei ha evocato un ruolo dell'Europa a fianco degli Stati Uniti, ma questa Europa, con le sue rigidità, può realisticamente assumere questo compito?

Beh, se colma il vuoto politico - non della globalizzazione in questo caso ma del mercato unico europeo - allora questo ruolo lo può assumere. Certo che, in assenza di un governo politico e di regole comuni, conterà sempre di più la forza militare, e quindi a un certo punto sul tavolo, invece della ragione, prevarrà la forza. A livello globale, io non ho grandi preoccupazioni che ci sia una involuzione del mercato o comunque un'involuzione di carattere economico: in un modo o nell'altro, con costi pesanti per singoli paesi e per i ceti sociali, questi fenomeni riusciremo a controllarli. Ciò che preoccupa maggiormente è che il crollo avvenga a partire dalla base sociale. Quando i popoli si accorgeranno di essere stati espropriati della sovranità nazionale senza magari aver ottenuto nulla in cambio si potrebbero sentire dominati economicamente dal mercato globale e politicamente dagli Stati Uniti. Il timore insomma non è il crollo economico bensì il crollo sociale.

Insomma, lei teme un scoppio di nazionalismi fondamentalistici...

E' esattamente così. (c. lan.)

13 marzo 2001

appiocaludio@yahoo.com





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