Un vuoto politico ancora da riempire
di Claudio Landi


Incombe il Giappone. Non la potenza economica e tecnologica giapponese, bensì la sua drammatica crisi finanziaria. A mesi, forse a giorni, il sistema economico e finanziario mondiale potrebbe essere scosso da un gigantesco maremoto con epicentro il Sol Levante. In effetti il Giappone, da oltre dieci anni ormai, vive in una condizione di piena deflazione: il governo di Tokio ha cercato in ogni modo di far crescere l'economia, con tagli fiscali e con spese pubbliche, ottenendo come sola conseguenza l'aumento esponenziale del debito pubblico. Che ormai viaggia tranquillamente verso il 200 per cento del prodotto interno lordo, mettendo a repentaglio, con il rischio di insolvenza, l'intero sistema finanziario. Ma la "crisi giapponese" non è che l'ultima (per ora) di una lunga serie di crisi economico-finanziarie che contraddistinguono il mercato globale da una decina di anni: crisi messicana, crisi dello Sme, crisi asiatica e ora appunto crisi giapponese non sono altro che lo specchio di una grave situazione di squilibrio del mercato globale. Della drammatica assenza di un governo politico del sistema economico globale.

Sia chiaro, la globalizzazione economica ha portato, sta portando enormi benefici a fasce della popolazione mondiale prima molto povere (basta fare mente locale sullo sviluppo tumultuoso di interi subcontinenti in Asia e in America Latina). Ma anche questo, ovviamente, pone nuovi problemi. Ad esempio spesso i paesi aprono al mercato globale senza fare le necessarie riforme economiche, politiche e istituzionali. Con il risultato di creare gigantesche bolle speculative: fino ad oggi gli Stati Uniti e le agenzie sovranazionali dominate dal "consenso di Washington" sono intervenute per tappare le falle. Gli Usa hanno agito da grande locomotiva del mondo, i paesi in crisi sono stati obbligati a fare riforme economiche e qualche volta anche politiche, il mercato mondiale ha continuato ad espandersi. Ma la coperta rischia seriamente di essere troppo corta. Gli Usa potrebbero non reggere da soli il "peso" del governo del mercato globale. Per continuare a tirare da soli il treno dell'economia mondiale, ad esempio, i consumi degli americani sono stati necessariamente sospinti verso l'alto, in un modo tale, che un qualsiasi raffreddore dell'economia Usa può portare facilmente alla broncopolmonite doppia nell'economia mondiale; oppure l'aumento dei prezzi del petrolio, benedetto dagli Usa nei mesi passati per ridare fiato alle economie di paesi emergenti chiave in gravissime difficoltà, adesso potrebbe innescare il vecchio mostro della stagflazione.

Che fare, a questo punto? Come sempre ci sono almeno due scuole di pensiero: c'è chi vorrebbe rafforzare ulteriormente il ruolo delle istituzioni sovranazionali; e c'è invece chi propone una "nuova architettura politica globale", fondata sul rapporto euroamericano e su una relazione più efficace fra istituzioni sovranazionali e livelli nazionali. Carlo Pelanda e Paolo Savona, entrambi economisti, con la loro ultima fatica appena uscita in libreria, "Sovranità e ricchezza. Come riempire il vuoto politico della globalizzazione" edito per i tipi della Sperling & Kupfer, si schierano decisamente per questa seconda opzione. E propongono un sistema di "sovranità bilanciate" per governare la globalizzazione, un sistema fondato sul rapporto transatlantico fra Usa e Unione Europea, sulla definizione di regole planetarie di mercato aperto valide per tutti, ma la cui gestione (o "implemetazione", come direbbero gli specialisti) sia affidata alle autorità nazionali in un quadro di democrazia e sotto la vigilanza degli organismi sovranazionali. Insomma quasi una "Costituzione del mercato globale", magari definita in una nuova Bretton Woods. Ne abbiamo parlato con i due autori e con un economista "liberal", Michele Salvati.

13 marzo 2001

appiocaludio@yahoo.com





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