"Si è creato un contropotere. Quanto costa?"
intervista a Carlo Pelanda


"Siamo passati dalla guerriglia agli incontri - dice Carlo Pelanda, economista, commentatore ed esperto di scenari internazionali - il popolo di Seattle si sta istituzionalizzando. Di solito questo è considerato un buon segnale per i movimenti di contestazione, perché tende a renderli più moderati, tende ad aprire un ponte, una possibilità di negoziare su contenuti simbolici e sulle forme della protesta. Questo è un buon aspetto che fa prevedere una tendenza alla riduzione del tasso di conflittualità e di spettacolarità".

Oltretutto abbiamo assistito a un inedito dialogo tramite videoconferenza fra contestatori e Soros...

Appunto, il fartto che si apra un dialogo è una buona cosa. E' una sorta di scambio: io, popolo di Seattle, prometto meno conflittualità, ovvero meno delegittimazione simbolica a te che rappresenti il mondo delle società multinazionali e delle istituzioni sovranazionali, in cambio tu deve ascoltarmi ed incorporare alcuni contenuti.

Quali contenuti?

A cosa guardano i soggetti del mercato globale? Semplice: banche, fondi, Fmi si chiedono quanto costa il movimento di Seattle. I soggetti del mercato globale non sono certamente diventati più buoni: si è formato un contropotere ed allora il problema per costoro è capire quanto costa. Questo contropotere, tra l'altro, istituzionalizzandosi chiede anche un prezzo per stare buono, per non fare troppo casino. E questo significa risorse finanziarie per il movimento e contenuti simbolici. Si sta costruendo un contratto. C'è chi si sta interessando a far dialogare questi due mondi. Il popolo di Seattle si vuol far riconoscere come contropotere: i soggetti del mercato globale sono ben felici di questo in termini di costo. Ovviamente nella fase precontrattuale si cerca di trovare un linguaggio comune. E quale è questo linguaggio? Il popolo di Seattle vuole che i soggetti del mercato accettino l'idea che il mercato, così come è, è troppo squilibrato e produce distorsioni con formidabili costi sociali.

E a Davos cosa ne pensano?

A Davos sono entrati in questo ordine di idee: finora il discorso standard del Consiglio di Amministrazione del pianeta, Davos appunto, è basato sul dato di fatto: la globalizzazione, in dieci anni, ha certamente portato molta più ricchezza che povertà. E' stato un fenomeno quasi miracoloso di creazione ed anche di diffusione sociale della ricchezza. Però questo ha comportato nei paesi emergenti, ed anche in quelli ricchi, mutamenti veloci che hanno premiato molta gente ma che ne hanno punito una parte: questa parte non è ancora nel mercato globale (due miliardi e 200 milioni di persone). Vi è anche un quarto della popolazione mondiale che è stata punita dallo sviluppo della globalizzazione: il lavoratore dell'acciaieria negli Stati Uniti o l'artigiano francese fuori mercato. Sia chiaro che sto parlando in termini economici, perchè in termini di qualità della vita sociale, ovviamente, il discorso dovrebbe essere più complesso. La globalizzazione, comunque, ha notevolmente ampliato la base economica, però si sono create consistenti aree di disagio. L'altro anno a Davos si è celebrato il successo della globalizzazione: quest'anno invece arriva la nuova parola d'orinde, bisogna tener conto di questo venticinque per cento che, secondo me, viene punito dagli attuali meccanismi e che si sta strutturando nella forma di un partito politico. Dunque va incoporato nel sistema. E' una opposizione che fa rumore per farsi vedere che deve diventare, per così dire, parlamentare.

Dunque si è avviata l'istituzionalizzione del "partito di Porto Alegre"?

Sia chiaro, a Porto Alegre non propongono nessuna nuova teoria per affrontare i problemi del mercato globale. Propongono solamente dei costi. Ma la questione del riequlibrio di una globalizzazione squilibrata è roba molto seria che non lasceremo certamente al popolo di Seattle.

Cominciamo allora a chiarire dove nasce questo squilibrio.

Questo squilibrio nasce dalla strategia di globalizzazione attuata dagli Stati Uniti con gli strumenti del Fondo monetario e ovviamente con quelli della politica Usa. Si è trattato di una strategia giusta, che continua ad essere giusta sul piano generale. Questa strategia dice: vuoi lo sviluppo, apri il paese al mercato globale, e i problemi si risolveranno. I principi, che fissano uno vero e proprio standard globale, sono quelli della libertà del capitale e del commercio. Stati Uniti e Fondo monetario hanno fatto in modo che ogni paese accettasse questi principi. Come si può facilmente vedere la globalizzazione altro non è che un modello americano di mercato aperto. Ma che cosa è accaduto? E' successo che nell'applicazione di questa strategia giusta si è un po' esagerato, nel senso che molti paesi hanno ceduto sovranità a questo standard globale senza sapere esattamente quello che stavano facendo. Se un paese ha un mercato finanziario poco trasparente e apre al mercato globale senza fare tutte le riforme necessarie, prima arrivano i capitali (si tratta di un paese emergente che garantisce comunque elevati rendimenti) poi questi capitali scappano perché il paese "va in bolla". Questo processo ha dato sviluppo ma ha anche creato crisi paurose. Questo è un esampio di paesi che cedono sovranità economica all'esterno, che si aprono alla concorrenza di tutto il mondo, ma che non fanno riforme interne delle istituzioni e del loro modello sociale. Se io cedo sovranità economica e mi faccio governare economicamente dal paese più avanzato del mondo (gli standard globali figli del modello americano, appunto) devo allora creare un compensatore sociale. Ma il modello di compensazione sociale è difficile da disegnare a tavolino: il modello se lo creano i cittadini di ogni singolo paese. Con il voto. Dunque bisogna riequilibrare, il che significa lasciar libero ogni paese di trovare la propria via per adattarsi allo standard globale. Insomma bisogna forzare, per così dire, ogni paese alla democrazia politica e alla trasparenza dei mercati finanziari e poi lasciare che ognuno trovi il proprio modello di adesione al mercato globale. (c. lan.)

20 febbraio 2001

appioclaudio@yahoo.com

 


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