Gestire l’Iraq (non possiamo andare avanti così)
di Michael Ledeen

Non sono solo i nostri diplomatici a non credere che siamo in una guerra vera. I giapponesi uccisi dai terroristi in Iraq sabato, stavano andando a un incontro a Tikrit per valutare se una stazione di servizio aveva bisogno di ricevere aiuti. Ma visto che i giapponesi rifiutano di ammettere che stanno partecipando ad uno sforzo bellico, non si sono curati molto della sicurezza, la loro auto non era blindata, non avevano armi e quindi erano una preda facile. Aggiungeteli alla lunga lista delle persone che sono morte in Iraq perché pensavano che i terroristi non li avrebbero confusi con gli americani cattivi. Questa piccola presunzione ha fatto compiere vere e proprie follie: i funzionari delle Nazioni Unite a Baghdad che hanno insistentemente chiesto agli americani di rimuovere i blocchi di cemento dall’ingresso dei loro uffici, la Croce Rossa che ha rifiutato la protezione e così via. […]

Questo tipo di sciocchezze non sarebbero state possibili nei giorni immediatamente successivi all’11 settembre, ma la nostra immediata percezione del mondo dopo gli attacchi terroristici è stata diluita dal solito trionfo dei vecchi riflessi e dall’enfasi burocratica sulle procedure a discapito dei contenuti. Così, fingiamo di non sapere chi c’è “dietro” queste uccisioni (anche se gli iraniani, i sauditi e i siriani se ne vantano quasi ogni giorno) e il Pentagono mette Wolfowitz in uno dei palazzi più pericolosi di Baghdad. Così i leader iracheni nutrono forti dubbi circa la nostra serietà e la nostra risolutezza. […] I nostri diplomatici sono così occupati a dimostrare che possiamo “lavorare con” l’Iran, che non sono riusciti a prendere alcuna misura seria per impedire le recenti concessioni spropositate sul programma nucleare nascosto del Mullah. Se fossimo stati seri, il Segretario di Stato Powell avrebbe detto al suo amico ministro degli Esteri britannico, Jack Straw, che era una pessima idea quella di andare a Tehran con i suoi colleghi francesi e tedeschi. […] Nel frattempo i turchi hanno preso il capo del gruppo terroristico che ha attaccato violentemente Istanbul, mentre cercava di fuggire in Iran. Immaginate.

Sembra che l’amministrazione abbia deciso di “gestire” l’Iraq fino alle elezioni, per poi fare il punto della situazione. Anche questa è un’idea suicida, perché per quanto meravigliose possano essere le nostre forze armate, lascia tutta l’iniziativa al nemico. […] Gestire l’Iraq, significa prendersela comoda con l’Iran, la Siria e l’Arabia Saudita e significa anche condannare a morte molte persone che potrebbero essere salvate se facessimo guerra al nemico. Prendiamo la Siria, per esempio. Un paio di mesi fa, quando gli israeliani hanno bombardato i campi di addestramento per i terroristi in Siria, il Dipartimento di Stato ha detto improvvisamente e inaspettatamente cose che non avevamo mai sentito prima. Ha detto che i siriani non erano stati di nessun aiuto nella guerra al terrorismo mentre precedentemente avevano sostenuto che ci stavano aiutando, che era solo una questione di tempo e il buon vecchio Bashar Assad avrebbe fatto quello che Powell chiedeva: cooperare con noi.

Se volessimo seriamente far guerra ai nemici, faremmo un’enorme pressione sui siriani perché chiudano la rete di campi terroristici in Libano ed espellano gli Hezbollah, che il vice segretario Armitage giudica la più pericolosa organizzazione terroristica. Ma erano solo parole. Confessioni compulsive di fallimento da parte del Dipartimento di Stato indotte dal gesto di Israele e presto svanite. E siamo tornati a “gestire” la cosa. […]
E tutto questo disprezzo dell’invocazione alla rivoluzione democratica nel Medio Oriente del presidente! Se volessimo farla seriamente, condanneremmo la diplomazia illegale di tromboni non eletti che perdono tempo e soldi del governo svizzero (il che probabilmente significa qualche nostro finanziamento segreto) nell’inutile sforzo di “risolvere” un problema che può essere seriamente affrontato solo dopo che i signori del terrore sono stati sconfitti.

Non sarà il coraggio del presidente, né alcun grandioso discorso a salvare le vite dei nostri cittadini e dei nostri alleati e a dare al Medio Oriente la speranza di una pace reale, se continuiamo a “gestire” la guerra terroristica e a giocare con una falsa diplomazia, che è quello che stiamo facendo in questi giorni. I signori del terrore sanno che devono portarci fuori dall’Iraq. Sanno che devono dividere i nostri alleati. Credono che il modo migliore per farlo sia uccidere quanti più americani, italiani, spagnoli, giapponesi, sud coreani, turchi, polacchi e iracheni possibile. Non si candidano alle prossime elezioni e non cercano di essere amati. Vogliono esser temuti. Più veloce, per favore.

da "National Review"

Traduzione dall’inglese di Barbara Mennitti
 

stampa l'articolo