Usa, “Bush lovers” contro “Bush haters”
di Alessandro Gisotti

O lo ami o lo odi, questione di feeling. L’America non si è mai divisa così profondamente e istintivamente nel giudicare il suo presidente come nel caso di George W. Bush. Se Ronald Reagan è stato il “grande comunicatore”, ha scritto recentemente Time, l’attuale inquilino della Casa Bianca si sta rivelando sempre più come il “grande polarizzatore”. Certo, quando un presidente in carica concorre per un secondo mandato - come avviene per Bush jr - le elezioni diventano un referendum sul suo operato, piuttosto che una scelta tra i due candidati allo Studio Ovale. Ma in questo caso, il tasso di animosità che contraddistingue tanto i sostenitori quanto i detrattori dell’ex governatore texano ha raggiunto livelli inconsueti per la politica a stelle e strisce. Sono ormai lontane le drammatiche settimane successive all’11 settembre 2001, quando Bush raccoglieva il sostegno dell’80 per cento della popolazione.

Guelfi e Ghibellini in stars and stripes

Ad un anno dalle presidenziali, l’elettorato si spacca a metà nella valutazione del suo Commander in chief. D’altro canto, i numeri non danno conto dell’intensità della divisione. Sulla stampa americana si parla ormai di Bush-haters e Bush-lovers: categorie dalla sintesi impossibile. I primi, infatti, ritengono il presidente arrogante, i secondi determinato. Per gli “odiatori”, Bush è imbarazzante e pericoloso; per gli “amanti”, è l’esempio di un vero statista, immune da dubbi e perplessità. C’è poi la “questione religiosa”. Secondo un sondaggio commissionato dalla Cnn, il 53 per cento degli americani ritiene che Bush sia troppo condizionato nelle scelte politiche dalle sue convinzioni morali e religiose. Vai a spiegarlo ad un uomo che alla domanda: “Qual è il filosofo a cui maggiormente si ispira?” ha risposto: “Gesù Cristo, perché ha cambiato il mio cuore”. Anche su questo punto, dunque, l’opinione pubblica tende a polarizzarsi al di là della tradizionale distinzione tra liberal e conservatori. Per gli uni, Bush è un esagitato; per gli altri, un leader di sani principi.

Come prevedibile, le prime manifestazioni di questa accesa contrapposizione hanno trovato fertile terreno in Internet. Qualche tempo fa, Byron York, corrispondente dalla Casa Bianca della rivista conservatrice National Review, ha tracciato una sorta di guida web dell’odio anti-Bush. Il campionario è quanto mai variegato, a volte inquietante. Su Bushbodycount.com, si accusa il presidente e la sua famiglia di essere dietro a misteriosi omicidi. In più di un sito, è possibile acquistare una maglietta con la “s” di Bush a forma di svastica o, volendo, con il presidente americano raffigurato come Adolf Hitler. Ancora, nel sito Toostupidtobepresident.com (letteralmente Troppo-stupido-per-essere-presidente) si sostiene che il suo quoziente intellettivo è nettamente inferiore alla media.

Bush Haters

Questo ribollire anti-Bush, che non è rimasto chiuso nei recinti della Rete, è stato amplificato dalla controversa vicenda delle armi di distruzione di massa irachene. Quelle weapons of mass destruction, che la sinistra statunitense ha ribattezzato “weapons of mass deception”, armi di inganno di massa. Così, mentre i Democratici alzano il tono della polemica, con il candidato presidenziale Howard Dean nella veste di corifeo, sugli scaffali delle librerie americane pullulano pubblicazioni che descrivono Bush come il “grande bugiardo”. Ironia dello sorte, lo stesso epiteto affibbiato dai Repubblicani al suo predecessore Bill Clinton, che pure fu oggetto di critiche al vetriolo durante gli otto anni di permanenza a Pennsylvania Avenue. Il livore nei confronti dell’attuale presidente americano, un disprezzo che va oltre la politica, è sintetizzato nelle dure parole di Jonathan Chait, del giornale New Republic, che afferma senza remore di odiare perfino il “modo di camminare e parlare” di Bush.

Bush Lovers

Dal canto loro, i Bush-lovers ribattono colpo su colpo. Per David Brooks, columnist del New York Times, i Democratici provano talmente tanto odio per Bush che non gliene è rimasto neanche un po’ per Saddam Hussein. Gli fa eco Laura Ingraham, conduttrice radiofonica che irride i liberal: “Per loro, l’asse del male è costituito da George W. Bush, Karl Rove (il guru del presidente) e Donald Rumsfeld”. Né ci si ferma a parare le bordate dei Democratici. Secondo i “Dioscuri neoconservatori”, Robert Kagan e William Kristol, quando Bush è entrato alla Casa Bianca, era convinzione comune che la sua inesperienza sarebbe stata compensata dalla saggezza del suo governo. Ora, affermano, il più saggio e coraggioso decisore in politica estera dell’amministrazione è proprio il presidente.

Divisi alla meta

Alla ricerca di una chiave di lettura non condizionata dagli accenti bellicosi degli opposti schieramenti, il Washington Post segnala che in realtà il contrasto affonda le radici in una singolare equazione. Bush jr. ha fatto ai Democratici ciò che Bill Clinton fece ai Repubblicani: “scippare” i cavalli di battaglia dei propri avversari. Come Clinton acquistò credito nella riforma del welfare e nella lotta alla criminalità, così Bush ha tolto ai Democratici la loro prerogativa su battaglie storiche come l’educazione e la l’accesso ai medicinali per gli anziani. La situazione non manca peraltro di fornire sorprendenti paradossi. “Puoi odiare Bush, ma amare i suoi tagli alle tasse”, si è chiesto il popolare webmagazine Slate.com? In un gustoso articolo, Daniel Gross descrive una scena tutt’altro che insolita di questi tempi negli States: una donna al volante di una nuovissima Bmw con il portabagagli pieno di volantini di Howard Dean, l’anti Bush per antonomasia. Capita così che liberal benestanti si giovino della riduzione delle tasse varata dall’odiato presidente. A volte con un certo imbarazzo. Sensazione che non sfiora invece il miliardario George Soros, probabilmente il maggior beneficiario della politica fiscale repubblicana. L’estroverso tycoon ha dichiarato che l’obiettivo della sua vita è sconfiggere Bush ed ha staccato un assegno di 15 milioni di dollari per la causa.

A poche settimane dalle primarie dei Democratici, in molti sottolineano che la forza di Bush è nella debolezza dei suoi avversari. Ora che l’economia è tornata a livelli da boom anni ’80, sembra anche dissiparsi lo spettro della sconfitta del padre, che proprio per la negativa congiuntura economica fu mandato a casa, nonostante la vittoriosa campagna irachena. Proprio l’Iraq sembra allora essere l’unico vero irto ostacolo sulla strada per il secondo mandato. A meno che non scenda in campo il solo personaggio capace più di Bush di dividere gli americani tra “haters” and “lovers”: il senatore dello Stato di New York, Hillary Rodham Clinton.

5 dicembre 2003

gisotti@iol.it
 
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