La strategia saudita di Al Qaeda
di Rodolfo Bastianelli
La serie di attentati che nelle scorse settimane ha colpito prima Riyad,
poi l'Iraq con la strage dei Carabinieri italiani a Nassiriya ed infine
Istanbul, rientrano in un preciso disegno da parte di Al Qaeda e dei
gruppi ad essa collegati. L'Arabia Saudita, l'Iraq e la Turchia
rivestono infatti un'importanza fondamentale nella strategia
terroristica per il loro valore politico e simbolico. Depositario delle
più importanti riserve petrolifere mondiali e custode dei luoghi santi
dell'Islam, il regno saudita è di fondamentale importanza per gli
equilibri geopolitici mediorientali. Alle prese con una difficile fase
di transizione politica apertasi dopo la grave malattia che ha colpito
Re Fahd, Riyad si trova a fronteggiare un'opposizione interna che
richiede la concessione di riforme politiche ed economiche unita
all'ostilità dei gruppi fondamentalisti contrari alla casa regnante per
l' atteggiamento conciliante tenuto verso gli Stati Uniti e per lo stile
di vita troppo disinvolto di molti dei suoi membri. Gli stessi rapporti
con Washington dopo l'11 settembre sono entrati in crisi per via della
diffidenza dell'amministrazione americana verso il regime saudita,
ritenuto incapace di prendere delle misure repressive contro i gruppi
terroristici o addirittura sotto certi aspetti reputato coinvolto nelle
attività di queste organizzazioni.
Recentemente il principe reggente Abdallah ha deciso di avviare alcune
riforme tra le quali la più significativa appare l'elezione diretta dei
consigli municipali, misure ritenute da alcuni osservatori troppo
limitate per placare il malcontento all'interno del Paese. Sullo sfondo
vi è poi un'economia stagnante che non è più in grado di offrire sbocchi
professionali adeguati ai giovani sauditi che quindi finiscono per
ingrossare le fila dei contestatori. Resta da vedere se l'azione dei
fondamentalisti unita all'opposizione interna sia in grado di rovesciare
la monarchia saudita. Questa prospettiva però è da ritenersi alquanto
improbabile. Come ha sottolineato Thomas Friedman sul "New York Times" ,
colpendo dei cittadini arabi e non degli obiettivi americani i
terroristi hanno compiuto un macroscopico errore, in quanto gran parte
della popolazione non vede con favore l'instaurazione di un regime
radicale fondamentalista nel Paese. Le stesse autorità saudite inoltre
di fronte alla prospettiva di un crollo del regime stanno cominciando a
reprimere le attività ed i membri di quelle organizzazioni che in
precedenza spesso venivano tollerate. Altro bersaglio degli attentati
terroristici è la Turchia, che rappresenta un caso del tutto particolare
all'interno del mondo islamico. Unico Paese musulmano membro della Nato
e legato da solidi rapporti di amicizia e collaborazione con Israele, la
Turchia è guidata dallo scorso anno da un governo islamico moderato che
guarda con favore all'ingresso del Paese nell'Unione Europea. Questo
desta non poca irritazione negli ambienti fondamentalisti, che ritengono
del tutto inconciliabile l'alleanza militare con gli Stati Uniti ed i
legami con Israele. Come in Arabia Saudita inoltre, una parte
significativa della popolazione giovanile per effetto delle conseguenze
della crisi economica e di anni di malgoverno si trova a non avere
prospettive occupazionali, finendo così per essere attratta dal
messaggio dell'Islam integralista che in passato ha spinto anche diversi
turchi ad andare a combattere in Afghanistan ed in Cecenia.
Ma le similitudini con il caso saudita si fermano qui. Secondo un
sondaggio, la grande maggioranza della popolazione non vede con favore
l'introduzione di leggi islamiche, riconoscendosi ancora nel messaggio
laico e secolarista lanciato negli anni Venti dal padre della moderna
Turchia Kemal Atatürk, senza contare che a garantire la laicità dello
Stato contribuisce lo stesso ruolo delle Forze Armate, una delle
istituzioni più popolari in Turchia, le quali hanno un peso fondamentale
nell'indirizzo politico da dare al Paese. Più complesso si presenta il
caso dell'Iraq. All'attività dei gruppi legati ad Al Qaeda come "Ansar
al - Islam" che pare comunque pesantemente indebolita dalle azioni
militari alleate, si unisce quella dei movimenti sciiti sostenuti da
Teheran, degli appartenenti al vecchio apparato di sicurezza di Saddam
Hussein e dei gruppi di criminali comuni che hanno approfittato del
disfacimento delle istituzioni statali. Gli attacchi di questi gruppi si
indirizzano contro le forze della coalizione ed i membri della nuova
polizia irachena proprio per spingere la popolazione a non collaborare
con le autorità alleate, mentre un analogo effetto psicologico hanno gli
attentati contro le infrastrutture civili e le sedi delle organizzazioni
internazionali. Come sottolineano gli esperti, queste azioni di
guerriglia non sono comunque assolutamente in grado di rovesciare il
governo insediato dagli americani al termine del conflitto, avendo come
obiettivo quello di creare nei Paesi di provenienza delle forze
d'occupazione un clima sfavorevole alla presenza dei loro militari in
Iraq. Il bilancio in termine di vite umane di questi attentati resta
ovviamente molto pesante e la possibilità che ne vengano compiuti altri
desta una grande preoccupazione nei Paesi europei e negli Stati Uniti.
Realisticamente, si può però dire che senza il consenso popolare e
l'appoggio di istituzioni-chiave quali le Forze Armate e gli apparati di
sicurezza, il progetto di Al - Qaeda pare destinato al fallimento.
5 dicembre 2003
rodolfobastianelli@tiscali.it
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