Il veleno dell’anti-semitismo europeo
di Stefano Magni

Forse è proprio il nuovo antisemitismo europeo, più ancora che la fedeltà agli ideali del sionismo, a spingere Sharon a invitare gli ebrei d’Europa a emigrare in Israele, per “vivere da ebrei”, come dichiarato nel corso della sua visita a Roma, il 17 novembre. Il fenomeno che preoccupa gli israeliani non è solo l’anti-sionismo: è proprio l’antisemitismo. Anzi: “nuovo antisemitismo”, come viene definito dal World Jewish Congress. Il risultato del sondaggio di Eurobarometro è solo l’ultimo dei tanti campanelli d’allarme che suonano da quasi tre anni, da quando è scoppiata la seconda intifada.

Il documento redatto dal World Jewish Congress nel marzo del 2003 (dunque ben 7 mesi prima della pubblicazione del “sondaggio della vergogna”), traeva conclusioni inquietanti: “I due anni passati hanno visto un risveglio di antisemitismo nell’Europa occidentale, così come non si vedeva dalla fine della seconda Guerra Mondiale. Sinagoghe, scuole e altre proprietà ebraiche sono state incendiate e gli ebrei sono sottoposti ad attacchi fisici e verbali. Nonostante la maggior parte di questi atti siano responsabilità di musulmani, sono le élite europee che hanno creato un ambiente in cui l’antisemitismo non è più considerato inaccettabile negli ambienti più rispettabili”. Più specificamente, il nuovo antisemitismo europeo prende di mira: sinagoghe e cimiteri, ebrei identificabili da costumi caratteristici (come la kippah), dimostrazioni pubbliche di estrema destra ed estrema sinistra in cui si incita all’uccisione degli ebrei, false voci su atrocità israeliane (come quella secondo cui gli ebrei inietterebbero il virus dell’aids ai palestinesi), l’accusa a Israele di essere un regime nazista da eliminare, boicottaggio sistematico dei prodotti ebraici. Secondo il professor Joel Kotek, dell’Università di Bruxelles, “la posizione presa da ciascuno nei confronti del conflitto arabo-israeliano è diventato un test di lealtà. Chiunque esprima solidarietà con Israele, diventa un sostenitore di un regime nazista”.

Si tratta di una vera e propria inversione storica delle responsabilità dell’Olocausto che coinvolge anche le élite intellettuali europee. Notevoli le affermazioni del premio Nobel portoghese José Saramago, che, dopo aver paragonato il blocco di Ramallah a “una nuova Auschwitz” ha tranquillamente affermato che “il popolo ebreo ormai non merita più simpatia per le sofferenze che ha passato”. I “pacifisti” europei, intanto, marciano frequentemente portando le effigi di Sharon truccato con i baffetti di Hitler e sovrappongono la svastica alla stella di David. La costruzione della barriera difensiva, poi, ha suscitato altri paragoni improponibili, questa volta da parte degli stessi europarlamentari. “Dalla Grande Muraglia cinese al Muro di Berlino, barriere come questa si sono dimostrate completamente inutili” ha dichiarato l’eurosocialista Enrique Baron. E subito, nell’immaginario anti-israeliano europeo, la barriera difensiva è diventata il “Muro dell’apartheid”.

Di fronte ad atti di violenza contro i cittadini di origine ebraica e le loro proprietà. l’atteggiamento delle autorità europee, soprattutto francesi, è ambiguo. Da una parte si risponde prontamente all’esigenza di proteggere la comunità ebraica: lo dimostra la riunione d’emergenza del governo francese dello scorso lunedì 17, in risposta all’incendio della scuola ebraica Merkaz Hatorah di Parigi, in cui il presidente Jacques Chirac e il primo ministro Raffarin hanno incontrato i rappresentanti della comunità ebraica francese per discutere una strategia comune; lo dimostra anche il programma educativo contro l’antisemitismo nelle scuole, voluto dal ministro dell’educazione Luc Ferry in seguito alla vera e propria rivolta di alcune aule contro l’insegnamento della storia dell’Olocausto. D’altra parte, non sempre l’atteggiamento dei politici francesi è stato fermo nella garanzia della sicurezza degli ebrei francesi. L’ex ministro degli esteri Hubert Vedrine spiegava pacatamente che: “Nessuno si stupisce quando gli ebrei francesi simpatizzano istintivamente con Israele nonostante le sue politiche, per cui nessuno si dovrebbe stupire quando giovani cittadini francesi provano compassione per i palestinesi”.

In generale, la linea dei politici europei consiste nel non voler vedere importata la guerra israelo-palestinese sul proprio suolo. La manifestazione più esasperata di questo atteggiamento è contenuta nelle (presunte, ma probabili) dichiarazioni-shock dell’ambasciatore francese a Londra, Daniel Bernard: perché rischiare una terza Guerra Mondiale per Israele, da lui definito “quel piccolo Stato di merda”?

19 novembre 2003

stefano.magni@fastwebnet.it

 

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