Italia. Il miracolo del Vittoriano 
di Arturo Diaconale 

Ciò che colpisce è la partecipazione spontanea. Enorme, incredibile, impensabile. Mai registrata per tragedie del genere nei lunghi decenni dell’Italia repubblicana. Paragonabile a quella che coinvolse l’intero paese al momento della inumazione al Vittoriano della salma del Milite Ignoto. Questa volta, infatti, non c’è stato bisogno di alcuna convocazione. Né di treni e convogli organizzati. Neppure dell’attività di sezioni, associazioni, sindacati, partiti. I singoli romani, i singoli italiani hanno deciso autonomamente di dedicare una lunga parte della loro giornata a rendere omaggio ai 19 caduti nel corso di una missione militare di pace che ha suscitato e continua a suscitare opinioni contrastanti. 

Per la prima volta dopo un tempo immemorabile la stragrande maggioranza del nostro popolo si è trovata a praticare, magari senza neppure averne coscienza, la regola cara alle democrazie anglosassoni del “giusto o sbagliato, questo è il mio paese”. Su quelle 19 bare collocate all’intero dell’Altare della Patria si è verificato un doppio miracolo. Per un verso quello della ricongiunzione degli italiani con le loro istituzioni. Per l’altro quello ancora più grande della riconquista da parte del paese reale di una identità troppo a lungo negata e cancellata da una buona parte del paese formale.

Naturalmente non mancano le eccezioni rispetto ad un così clamoroso ed importante fenomeno di masse che tornato a nazionalizzarsi a dispetto dei vecchi pregiudizi della cultura imperante e della perdurante paura della nomenklatura politica di mettersi in contrasto con il politicamente corretto. Si parla della farneticante dichiarazione a favore dei terroristi pronunciata in tribunale dalla brigatista Lioce, dei vergognosi cori delle frange più politicizzate dei tifosi del Livorno, delle ridicole affermazioni del vescovo di Caserta Nogaro e delle inqualificabili dichiarazioni del cardinale Martino.

In teoria non sarebbe lecito mettere insieme eccezioni al sentimento generale, espresse da personaggi e settori così diversi. In fondo un Cardinale di Santa Romana Chiesa avrà pure lo zucchetto rosso ma non può essere confuso con i tifosi dalle fasce amaranto o con una delle ultime militanti delle Brigate Rosse. Nella pratica, però, è fin troppo giusto fare di tutt’erba un fascio. Brigatista, cardinale, vescovo no-global e tifosi sono legati insieme dalla stessa condizione di auto-separazione rispetto all’intera società italiana. Rappresentano il passato. Ed è bene che ci siano stati. La loro presenza ha reso ancora più importante e significativo il miracolo avvenuto all’Altare della Patria.

19 novembre 2003


diaconale@opinione.it

(da L’opinione del 18 novembre 2003)

 

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