La politica americana nel Sud-Est asiatico
di Francesco Galietti
Esiste un grosso filone di analisti geopolitici e di storici che ha
fatto del Sud-Est asiatico il suo oggetto di studio. La crescita
economica della Cina, il ruggito delle tigri asiatiche, l'incognita
islamica di Malaysia e Indonesia, la ripresa del Giappone e gli accordi
commerciali di Nuova Zelanda e Australia sono solo la punta di un
iceberg. Il South-East Pacific è osservato con grande interesse anche
negli USA, dove i principali giornali e think tank democratici e
repubblicani hanno assoldato esperti di quell'area.
Anche l'amministrazione Bush non è rimasta a guardare, e il suo impegno
in Asia si spinge ben oltre i continui andirivieni diplomatici di Peter
Armitage tra Washington e la Corea del Nord. Non è per nulla un caso se
la seconda tournée internazionale in più Stati di Bush ha riguardato
proprio l'Asia. Gli Usa rimangono in pista su tutti i fronti. Questo
almeno è il succo di quanto scritto dal national security adviser
Condoleezza Rice sul Wall Street Journal di domenica. La Rice ha tenuto
a precisare che gli Usa, alle prese con la lotta al terrorismo di
matrice islamica, non hanno affatto rinunciato a impegnarsi anche in
altre parti del mondo. D'altronde era noto che gli Usa stanno conducendo
serrate trattative, assieme alla Cina, per frenare la corsa al nucleare
della Corea del Nord, ma le carte in tavola sono molte altre ancora.
Prendendo come spunto il ritorno di George Bush dal suo lunghissimo
viaggio in sei Stati del Sud- Est asiatico, Condi ha spiegato la natura
dell'impegno americano in quell'area. Accanto ai partner di sempre, come
il Giappone, fanno capolino intese ad hoc.
Come quella con la Cina, con la quale gli Usa "stanno instaurando una
constructive collaboration". Ora, la Rice è tutt'altro che una
sprovveduta, e quando parla della Cina ha ben presente di cosa si
tratti. Non è donna da farsi ammaliare dai mostruosi tassi di crescita
del PIL cinesi (saranno poi veri? E' un dubbio diffuso tra più di un
economista), dalla monumentale diga delle tre gole e da tutte le grandi
manovre di Pechino. "China's future[...] must include full protection of
the human rights of the Chinese people" ringhia educatamente
Condoleezza. La quale sta da tempo studiando le strategie da opporre
alla corsa alle stelle della Cina, iniziate con la passeggiata nello
spazio di un astronauta cinese. E sta studiando pure l'evoluzione del
mercato della telefonia mobile cinese. Non va infatti dimenticato che la
Cina, con 180 milioni di utenti, rappresenta il più grosso mercato per
la telefonia mobile al mondo. Solo che il governo cinese, invece di
usare gli stessi standard di trasmissione diffusi nel resto del mondo,
ne sta sviluppando in proprio un altro. La ragione è evidente: in questo
modo riuscirebbe a controllare la rete telefonica, mentre se ricorresse
agli altri standard disponibili sul mercato perderebbe inevitabilmente
il controllo sulle chiamate dei propri cittadini.
Un'accoglienza particolarmente calda, sottolinea la Rice, Bush l'ha
ricevuta all'assemblea dell'APEC (ASIA PACIFIC ECONOMIC COOPERATION) a
Bangkok. Nonostante l'APEC non abbia mai avuto una tradizione
consolidata di collaborazioni multilaterali a livello economico, il
frangente attuale sta vedendo dei grossi cambiamenti. I quali sono da
imputare, dice Condi, all'impegno americano nel Pacifico. L'incontro
dell'APEC con Bush è stato un modo per "raccogliere i cocci di Cancun e
tracciare una via per dare nuovo vigore alle negoziazioni del WTO".
Gli USA ricorrono, in assenza di accordi multilaterali a trattati
bilaterali. E' il caso dei free trade arrangements con Singapore e di
quello in fase di gestazione con l'Australia. La Rice ha capito quello
che molti analisti indicano da anni, che le potenzialità economiche di
quell'area sono enormi. Si stima che il gruppo dei paesi appartenenti
all'ASEAN (una sorta di UE commerciale asiatica) potrebbe avere da sola
un PIL superiore a quello di UE e USA messi assieme. In più da qualche
tempo girano voci insistenti della nascita di un ASEAN 10+3 (i dieci
Stati fondatori più Cina, Giappone e Australia).
La Rice è infine convinta che sia nell'interesse degli Stati Uniti avere
nel Sud-est asiatico dei partner commerciali che godano di buona salute
economica. E' per questo che gli USA guardano con attenzione l'evolversi
dell'economia giapponese. Il Giappone è da sempre un'economia piagata
dal fenomeno della deflazione. Questo significa che siccome la tendenza
dei prezzi nel tempo è di diminuire, la gente si sente disincentivata a
spendere nell'immediato. In più l'economia giapponese è caratterizzata
da grossi gruppi che racchiudono diversi rami al proprio interno
(siderurgia, pesca, assicurazioni, banche). Le banche si fanno carico di
fare credito alle società partner all'interno di questi gruppi. Il fatto
è che da anni ormai i crediti delle banche sono divenuti irrecuperabili,
ma continuano a figurare negli attivi di bilancio degli istituti di
credito, fornendo un'immagine sfalsata dell'intero sistema economico. Da
qualche tempo esiste una banca pubblica che compra alle altre banche
giapponesi i loro crediti, sgravandoli di questi "crediti marci". Questo
tipo di processo fa rivoltare nella tomba i grandi maestri liberisti, ma
in Giappone finora nessun'altra soluzione aveva sortito gli effetti
sperati. E in Italia tempo fa venne applicato da Ciampi per comprare i
crediti marci del Banco di Napoli. Tutto sta a vedere se questa volta
Koizumi ce la farà a far ripartire l'economia del sole levante. Molti
elementi (yen in ripresa, indice azionario nikkei forte come non mai)
inducono a pensare di sì, e si può stare certi che anche agli USA la
notizia per ora non dispiace.
Perchè, conclude la Rice, l'obiettivo di questa amministrazione
americana è di "costruire un framework duraturo e efficace per la
nascita di una compagnia (fellowship) di nazioni libere che mirano a
un'Asia prospera e sicura".
Di incognite ne rimangono davvero tante: dalla Cina liberticida a
Indonesia e Malaysia alle prese con l'estremismo islamico. Tutto sta a
vedere come si evolverà l'intero scenario, ma il fatto che la Rice di
rado sbagli i calcoli è se non altro un dato confortante.
5 novembre 2003
da
RagionPolitica |