Berlusconi, l’anima della festa
di Denis Boyles

Un’Unione Europea senza italiani sarebbe esattamente come il Vermont. Ci sono i panorami e i pittoreschi palazzi vecchi e gli abitanti scontrosi con i loro accenti carini. Ma soprattutto c’è la fredda malinconia e la crescente ipocrisia stabilita per legge.

L’Italia, ovviamente, è un’altra cosa. La prima volta che sono stato a Roma, alla fine degli anni Sessanta, è stato per prendere una macchina da un concessionario Fiat vicino alla stazione ferroviaria. Quando sono arrivato, non era pronta. Allora mi hanno sistemato per un paio di notti in un albergo in via Veneto, un omaggio incredibile. La mia stanza aveva una grande sala da bagno di marmo e un piccolo terrazzo dal quale potevo guardare i caffè sulla strada. Una volta ho visto Lionel Stander, che allora viveva a Roma, procedere in mezzo ai tavolini. Portava un mantello e due bionde platinate. Quando finalmente ebbi la macchina, partì per incontrare un amico a Parigi. Era la prima volta che guidavo in Italia. Ero quasi arrivato a Napoli, quando ho capito che stavo andando nella direzione sbagliata. 

Ma quello che mi è piaciuto di più dell’Italia allora, come ora, era la maniera in cui tutti rifiutavano di prendersi troppo sul serio. O piuttosto, riconoscevano quello che doveva essere preso seriamente, che nella vita non è un elenco molto lungo. Per esempio, andare verso Sud in autostrada quando si doveva andare a Nord, aumentava semplicemente le opportunità di pagare pedaggi. Al tempo l’intero paese non aveva resto. Semplicemente non c’erano spiccioli. Così quando davi al casellante una banconota da dieci miliardi di lire, o quello che era, lui ti dava il tuo resto: una manciata di caramelle, minuscoli giocatoli di plastica, piccole carte con disegni di uccelli. Quando sono arrivato in Francia, sembravo una piñata ambulante. In seguito, quandi vivevo nel Ticino, il mio più grande piacere era andare in città il venerdì, quando tutta l’Italia invadeva la nostra Svizzera per impostare lettere e cambiare assegni. Sembrava una Shriners Convention di sei ore.

Le banche e gli uffici postali oggi funzionano in Italia, quindi gran parte di quella brillante improvvisazione burocratica è scomparsa. Ma un’eco del sapore liberatorio dell’entusiasmo italiano è venuto fuori la settimana scorsa a Strasburgo, dove Silvio Berlusconi, il primo ministro italiano, è presidente di turno, una carica a rotazione se ce n’è mai stata una. Berlusconi ha parlato al Parlamento Europeo per la prima volta dopo il luglio scorso, quando aveva debuttato mettendo in ridicolo un parlamentare tedesco che lo aveva insolentito.

Berlusconi non è apprezzato dagli eurocrati perché qualche volta insiste su almeno un minimo di significatività. Dopo tutto, la settimana scorsa ci si è profusi in una grande quantità di complimenti verso se stessi per un “successo” eccezionalmente insignificante degli europei: aver convinto l’Iran a sospendere temporaneamente il suo progetto di arricchimento dell’uranio. Le Monde era particolarmente orgoglioso dell’evento. Il titolo: “Come gli europei hanno messo fine a mesi di crisi”. Il giornale scende nel dettaglio, ma la vera risposta si trova in un pezzo di accompagnamento, un’intervista con l’iraniano Hassan Rohani che, alla domanda se la sospensione fosse permanente, ha risposto che naturalmente non lo era. 

Il notevole colpo diplomatico è stato seguito dalla conferenza dei donatori in Irak a Madrid, dove, come ha sottolineato Liberation, la Francia e la Germania hanno ancora una volta deliziato l’audience, dicendo agli Stati Uniti che si accodavano a Belgio e a Lussemburgo e che non avrebbero donato un bel niente per aiutare a ricostruire l’Irak. La conferenza di Madrid si è rapidamente trasformata nell’ennesima dimostrazione di come il moderno “multilateralismo” sia un chiodino affilato su un’ampia autostrada, dove quello che avrebbe dovuto essere la mostruosa macchina da guerra americana contro il terrorismo, diventa una Edsel (flop della Ford n.d.t.) che sterza per passare sopra il chiodino una prima volta, poi va in retromarcia per passarci sopra di nuovo, giusto per assicurarsi che le ruote siano ben sgonfie. 

Berlusconi ha ignorato il tutto e ha suggerito al Parlamento europeo che, se l’Europa vuole comportarsi come un unico stato, dovrebbe iniziare a proteggere i suoi confini. Ha chiesto all’Ue di prendere seriamente la conferenza, riportata dal Frankfurter Allgemeine, tenuta in Bretagna, nella quale Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia e Spagna avevano deciso di affrontare il diffuso problema dell’immigrazione illegale. Secondo the Guardian, Berlusconi era profondamente commosso per la morte dei clandestini africani, che erano fuggiti dalla Libia per trovare la morte alla deriva delle coste italiane. Il quotidiano citava una parte del’appassionato discorso di Berlusconi:

La perdita di così tante vite guidate dalla disperazione a cercare un futuro miliore, ci deve spronare a cooperare maggiormente per evitare che questi disastri si verifichino di nuovo.
Dobbiamo tutti riflettere attentamente su come quest’Europa cristiana e civilizzata, questa Europa di prosperità, possa aprirsi ed accogliere coloro che arrivano con il desiderio di trovate un futuro migliore per sé e per i loro figli. 

L’Italia è particolarmente vulnerabile alle massicce ondate di immigrati illegali. La costa vicino Bari, per esempio, è piena zeppa di piccole roulottes parcheggiate in file ordinate dietro protezioni di filo spinato. Sono le case degli albanesi fuggiti verso la parte ricca dell’adriatico. E la minaccia proveniente dal Sud è ancora più seria. Come ha osservato Berlusconi e ha riportato Il Giornale, vi sono un milione o più persone che aspettano l’opportunità giusta per attraversare il Mediterraneo. Romano Prodi, il rivale politico di Berlusconi in Italia e presidente della Commissione europea a Bruxelles, ha risposto alla chiamata di Berlusconi in un modo molto più consono allo stile dell’Unione europea. Il modo migliore per affrontare la situazione, ha detto a Il Messaggero, è quello di usare un approccio politico e finanziario. Quindi appena l’Africa sarà in grado di stare i piedi, l’Ue potrà iniziare a sorvegliare le sue coste.

E che coste allegre saranno! Secondo il simpatico bollettino dell’Ue, l’EU Observer, l’altro monumentale compito portato a termine dall’Unione Europea la settimana scorsa è stata la ponderata decisione del Parlamento europeo di far valere il suo peso, adottando “un nuovo sistema di smile per indicare le zone di balneazione sulle spiagge di tutta l’Europa”. L’Observer riferisce che l’ideatore olandese “il parlamentare liberale Jules Maaten… ha detto dopo la prima lettura, ‘Ho introdotto una proposta alla Commissione per l’adozione di un sistema di diversi segni per indicare la qualità dell’acqua. Un simbolo universalmente riconosciuto come lo smile, sarà apprezzato e capito da tutti i cittadini europei’”. Dì l’equivalente olandese di cheese, Jules! :)
E per tutti i cittadini non europei che fuggono verso l’Italia? :(

5 novembre 2003

bamennitti@ideazione.com


(da National Review Online. Traduzione dall’inglese di Barbara Mennitti)

 

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