California, il ciclone Schwarzenegger
di Alessandro Gisotti
“Sono venuto in America con le tasche vuote, ma con grandi speranze e
molti sogni”: lo slogan di Schwarzenegger campeggia in testa all’home
page del suo sito web, che, fin dal nome, “joinarnold.com”, (unisciti ad
Arnold), vuole distinguersi dalla comunicazione “ingessata” dei politici
di mestiere. Tasche vuote, dunque, muscoli d’acciaio, voglia di fare e
grandi ambizioni. In due parole, il sogno americano. E l’american dream
dell’erculeo culturista austriaco, approdato negli Stati Uniti
trent’anni fa, si è realizzato il 7 ottobre, quando - al termine di una
campagna elettorale, ricca di colpi di scena, nello stile dei film che
lo hanno reso famoso in tutto il mondo – Schwarzy ha staccato il
biglietto d’ingresso per il palazzo di governatore della California. Il
6 agosto, al momento dell’annuncio della sua candidatura,
significativamente al Tonight Show di Jay Leno – un Costanzo show
satirico – in molti, specie nella Vecchia Europa, avevano gridato,
divertiti, alla solita “americanata”. All’ennesima anomalia di un mondo
davvero altro, dove un attore punta a guidare lo Stato più popoloso e
più ricco degli Usa, invero con un Pil superiore a quello italiano.
Attore, sì, come quel Ronald Reagan, che partendo da Hollywood arrivò a
Washington, passando proprio da Sacramento, capitale del “Golden State”,
per incidere, come pochi altri, nella storia americana del secolo
scorso. E se la Casa Bianca è oggi una meta irraggiungibile per Arnold,
giacché la Costituzione impedisce a chi è nato all’estero di correre per
la presidenza, c’è ancora tempo per sognare. Un senatore, amico del
neogovernatore, ha infatti già presentato una proposta di emendamento
costituzionale per annullare questo ostacolo. Né sarà un caso se
Schwarzenegger, per celebrare la sua vittoria, ha scelto un albergo di
Los Angeles, il Century Plaza, dove 23 anni fa Reagan celebrò il suo
trionfo alle presidenziali.
Un approccio diretto
L’entrata in campo di Schwarzenegger – che sui mass media americani
viene semplicemente qualificato come Arnold (pronunciato Ahnold) – ha
letteralmente dominato per due mesi il confronto politico interno,
conquistando copertine di riviste (Time e Newsweek gliel’hanno dedicata
subito dopo l’annuncio della candidatura), prime pagine di giornali e
crescenti spazi televisivi (su Fox News non si parlava d’altro).
D’altronde, conseguendo un effetto indiretto, ha oscurato la campagna
presidenziale dei dieci sfidanti democratici di George W. Bush. Il
“Recall”, referendum d’iniziativa popolare promosso per destituire il
governatore democratico Gray Davis, a soli 11 mesi dall’elezione, è
diventato subito “Total Recall”, dal nome di un celebre film di
Schwarzenegger, passato sul grande schermo italiano con il titolo “Atto
di Forza”. D’altro canto, con astuzia, Arnold ha recitato, da subito, il
ruolo a lui più congeniale, cioè se stesso, eroe tutto azione dalla
battuta facile. Così, il suo spettacolare annuncio al Tonight Show si è
concluso con un hasta la vista baby (leitmotiv della saga Terminator)
indirizzato proprio al governatore Davis. E, ancora, con un calembour,
il titolo del suo film “End of Days” (dove il nemico di Arnold era
niente meno che l’Anticristo) è divenuto un facile slogan: “End of
Davis”.
Chi scrive ha avuto l’opportunità di seguire da Los Angeles le ultime
battute della campagna elettorale californiana, compreso l’unico
dibattito televisivo a cui Schwarzenegger ha deciso di partecipare, il
24 settembre all’Università di Sacramento. Anche in quest’occasione,
Arnold ha mantenuto un basso profilo sui “dettagli” - come lui stesso li
ha definiti - della politica e ha dato il meglio di sé utilizzando un
linguaggio “outspoken”, senza peli sulla lingua, efficace nel
conquistare la simpatia di un elettorato piuttosto annoiato, se non
addirittura insofferente verso riti e rituali della politica
tradizionale. In uno scambio rimasto memorabile di quel dibattito, alla
candidata concorrente, Arianna Huffington, che lo punzecchiava
insistentemente sul suo comportamento non ortodosso nei confronti delle
donne, Arnold ha risposto: “Ho già un ruolo per te, in Terminator 4”,
suscitando l’ovazione dell’uditorio. Accanto allo stile diretto
dell’attore, non va poi dimenticato, nella valutazione del successo
politico di Schwarzenegger, il ruolo cruciale della moglie Maria
Shriver. Giornalista della Nbc, membro della famiglia Kennedy e, quindi,
democratica per ragioni di stirpe, è rimasta accanto al marito anche
quando il Los Angeles Times - cinque giorni prima del voto - ha
pubblicato le accuse di molestia sessuale da parte di quindici donne nei
confronti dell’ex Mister Universo. Attacchi che non hanno certo giovato
al governatore Davis - Schwarzenegger ha, comunque, conquistato un alto
numero di consensi tra l’elettorato femminile - ma nemmeno al giornale
più diffuso della California, che ha visto mille suoi lettori cancellare
l’abbonamento, perché indignati dalla campagna denigratoria nei
confronti del candidato repubblicano. Già, repubblicano.
La California “repubblicana”
La California, Stato storicamente democratico, fondamentale in ogni
tornata elettorale per la Casa Bianca – grazie ai suoi 55 “grandi
elettori” – verrà ora guidata da un governatore del Gop (Grand Old
Party), anche se il parlamento resta in mano ai Democratici. E pensare
che i conservatori a stelle e strisce non avevano accolto con grande
entusiasmo la discesa nell’arena di Conan. Lo stesso Bush, che ora si
ritrova un regalo tanto inaspettato quanto prezioso in vista delle
elezioni del novembre 2004, si è mostrato molto tiepido nei confronti di
Schwarzenegger. Anche in una rivista di riferimento per i repubblicani,
come National Review Online, non si sono sfregati le mani per Arnold,
pur giubilando per la “cacciata” di Davis, che, negli ultimi giorni, è
stato sostenuto da tutto lo stato maggiore del partito democratico, da
Al Gore a Bill Clinton. In realtà, le ragioni di questo atteggiamento
sono riconducibili alla piattaforma politica di Schwarzy, uomo
tutt’altro che di destra, come superficialmente si potrebbe pensare,
sviati dall’immagine che se ne ricava attraverso i suoi film.
Ambientalista, favorevole ai diritti dei gay e all’aborto, sostenitore
del controllo sulla vendita delle armi, Arnold avrà certo fatto venire
qualche mal di pancia ai conservative “patria e famiglia”, che si sono
sentiti più a loro agio nel votare l’altro candidato repubblicano alla
poltrona di governatore, l’ex senatore Tom McClintock, che però è
rimasto sotto la soglia del 15 per cento. D’altro canto, il “centrismo”
di Arnold gli ha permesso di intercettare voti in strati sociali tabù
per il partito repubblicano. Dalle prime valutazioni del voto, infatti,
è emerso che Terminator ha pescato consensi tra gli omosessuali e gli
immigrati latino-americani, su cui tanto contava il democratico di
origine messicana Cruz Bustamante, vicegovernatore e candidatosi –
nonostante gli strali di gran parte del partito – a rimpiazzare il suo
capo Gray Davis.
La vittoria di Arnold Schwarzenegger ha suscitato commenti ed analisi
diverse sulla stampa americana. Particolare il caso del Los Angeles
Times, che certo non si è mostrato tenero nei confronti dell’attore,
durante tutta la campagna elettorale. Hugh Hewitt, conduttore
radiofonico e collaboratore del Weekly Standard (bibbia dei
“neoconservative”), dopo i ripetuti attacchi all’indirizzo di Schwarzy,
è arrivato a definire il “recall” un referendum sul “L.A. Times”,
diventato, a suo giudizio, parte integrante delle elezioni. Tuttavia il
quotidiano della “città del cinema” ha riconosciuto che il trionfo di
Arnold è stato “uno schiaffo ai sostenitori dello status quo”,
sottolineando la “voglia di cambiare” dei californiani, impulso che ha
prevalso su ogni altra considerazione. Allo stesso tempo, però, ha messo
in guardia il neogovernatore, colpevole di aver promesso con troppa
facilità meno tasse, più lavoro e maggiori servizi. Trinomio difficile
da portare a compimento in uno Stato alle prese con un deficit mostruoso
di 38 miliardi di dollari. Che le malridotte casse dello Stato siano il
vero banco di prova per Schwarzenegger lo pensa anche il sindaco di
Oakland, l’ex governatore Jerry Brown. Intervistato da Usa Today, il
giornale più popolare negli Stati Uniti, Brown ha dichiarato che per
Arnold sarà difficile confrontarsi con il più grave deficit statale
nella storia americana, in un periodo di incertezza economica e con due
partiti che, avvelenati dalla corsa elettorale, sono ormai ai ferri
corti. I tempi, peraltro, sono strettissimi: il neogovernatore dovrà,
infatti, presentare entro il 10 gennaio un piano di bilancio, avendo
perciò solo pochi mesi per concretizzare i suoi ambiziosi propositi
sulla riduzione delle imposte, senza tagliare la spesa pubblica in
settori essenziali come l’educazione. Secondo Usa Today, dunque, la
strada per Schwarzenegger - e il suo prestigioso staff di guru
dell’economia - è tutta in salita. Il voto che lo ha portato alla
vittoria è stato, infatti, un “voto di protesta”, di “frustrazione nei
confronti delle istituzioni politiche”, ma il consenso conquistato con
il semplice ed efficace messaggio “rimettiamo in moto la California”,
può vaporizzarsi in poco tempo se Arnold non onorerà gli impegni presi
in queste settimane. Intanto, nel campo democratico, all’insegna della
vendetta immediata, c’è chi prefigura un nuovo “recall” e già pensa di
raccogliere le 897 mila firma necessarie ad indire il referendum per
rimandare a casa, o meglio sul set, Schwarzenegger.
La East Coast valuta la leadership di Arnold
Ma come è stata letta questa elezione dall’altra parte degli States,
sulla East Coast? Il New York Times ha messo l’accento sulla
straordinaria affluenza alle urne – mai così tanti si sono recati al
voto, in California, negli ultimi 20 anni in elezioni non presidenziali
– segno che Arnold ha saputo “risvegliare” anche gli elettori assopiti.
Come Usa Today, anche il Times ritiene che l’attore è stato abile “nel
guidare un’ondata di ribellione”, ma le vere difficoltà vengono adesso.
Dopo una transizione di quattro, cinque settimane, Schwarzenegger
entrerà in carica e avrà dinnanzi a sé non solo una finanza statale
disastrata, ma anche un ambiente politico fortemente conflittuale. Di
qui, l’invito ad “evitare l’endemica acrimonia insita nel binomio
democratici-repubblicani”. Il New York Times non ha, poi, mancato di
soffermarsi sull’istituto del “recall”, anch’esso apostrofato su certa
stampa nostrana come segno della follia che alberga negli Stati Uniti.
In realtà, la California ha una lunga tradizione di democrazia diretta,
tanto che la possibilità di licenziare politici eletti, fino al vertice
del governo, attraverso referendum, esiste sin dal 1911. E fu voluta
proprio dal governatore dell’epoca, Hiram Johnson. Da allora, per ben 31
volte, gruppi della società civile hanno invocato il “recall” per
rimuovere un governatore. Senza esito. Fino al 7 ottobre scorso. Così,
Davis è diventato il secondo “governor”, nella storia americana, ad
essere mandato a casa per referendum. Il primo era stato Lynn J. Frazier
del Nord Dakota, ma dobbiamo risalire al 1921. Assieme al “recall”, la
costituzione californiana prevede anche la possibilità per i cittadini
di portare al voto delle proposte di legge. Dal 1978 al 2000 ne sono
state presentate oltre 600, un quarto concernenti la politica fiscale
dello Stato. Un eccesso, che rischia di far saltare i programmi di
governo in materia economica, con relative conseguenze sulla salute
dell’erario. Peraltro, è proprio facendosi paladino di una di queste
iniziative, la “Proposition 49” – per il finanziamento del dopo scuola
dei bambini poveri – che Arnold si è affacciato, l’anno scorso, sullo
scenario della politica californiana.
In definitiva, comunque, sulla West come sulla East Coast, tutti
concordano sul fattore leadership che ha catapultato Schwarzenegger
verso una sorprendente vittoria. Tanto Davis, quanto gli altri 134
contendenti alla carica di governatore non hanno saputo cementare dietro
di sé l’elettorato. Un handicap, che i Democratici scontano non solo in
California. Lo stesso generale Wesley Clark, ultimo in ordine di tempo a
scendere in campo per le presidenziali del 2004, ha detto dei suoi nove
colleghi di partito in lizza per sfidare Bush jr: “Sono brave persone,
ma nessuno di loro è un leader”. Schwarzenegger lo ha capito bene e ha
martellato su questo punto, ripetendo a piè sospinto: “In California
abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Tranne una cosa: leadership”.
Il suo messaggio chiaro, rafforzato dal fascino del selfmade man (Arnold
non è solo un attore di successo, ma è ormai a capo di un impero
finanziario che spazia dall’edilizia alla telefonia) ha fatto centro tra
la gente. E’ stato, invece, sottovalutato, quando non irriso,
dall’establishment di Sacramento. Il Washington Post ha ricordato come,
all’inizio della campagna elettorale - liquidata da qualcuno come circo,
da altri come carnevale, per la presenza di numerosi attori e personaggi
eclettici tra i candidati - il governatore Gray Davis aveva definito il
“recall” uno scherzo. Già, alla fine però a ridere è stato solo Arnold.
gisotti@iol.it
10 ottobre 2003 |