USA 2004: la lunga rincorsa di Bush
di Andrea Mancia

E' bastato un sondaggio, per dare ufficialmente il via alla campagna elettorale per le presidenziali Usa. Secondo gli analisti di Zogby International, la percentuale di cittadini statunitensi che giudica "negativamente" l'opera di governo di George W. Bush ha, per la prima volta in due anni, superato il muro del 50 per cento. Il risultato del sondaggio ha naturalmente trovato una larghissima eco nella stampa italiana ed europea, che ha immediatamente spiegato la scarsa performance statistica della Casa Bianca con le mille traversie del difficile dopoguerra in Iraq. I numeri, però, sono animali particolari. E spesso riservano sorprese inaspettate.

E' interessante notare, per esempio, come nello stesso giorno Zogby abbia appurato che il 54% dei cittadini Usa continua ad avere un'opinione generalmente positiva del presidente Bush. Una percentuale che sale al 59 nell'ultimo sondaggio Gallup sull'argomento. Sempre grazie a Gallup, poi, apprendiamo che soltanto il 39% degli americani approva il modo con cui Bush gestisce il problema del deficit federale. Ma che questa percentuale sale al 43 per la sanità, al 45 per l'economia in generale, al 47 per la politica energetica, al 52 per le tasse, al 55 per la politica estera, al 57 per il conflitto in Iraq e al 66 per la lotta contro il terrorismo. Più che rappresentare un "nuovo Vietnam" per l'amministrazione repubblicana, insomma, l'Iraq e la guerra al terrorismo in generale restano gli argomenti sui quali il grado di consenso è più elevato. I sessanta cittadini statunitensi su cento (contro 37) che si dichiarano insoddisfatti dell'operato delle Nazioni Unite confermano questo feeling tra gli americani e la politica estera di Bush. Potrà dispiacere, potrà finire prestissimo, ma allo stato attuale si tratta di una verità fuori discussione.

Pochissimi riscontri europei, poi, hanno avuto i sondaggi che analizzano la popolarità dei possibili contendenti democratici alla Casa Bianca. Come se le probabilità di successo per Bush non dipendessero anche (o soprattutto?) dal suo futuro avversario alle presidenziali. Eppure l'uomo "nuovo" del partito democratico, che sta lentamente superando tutta la concorrenza, è quell'Howard Dean (ex governatore del Vermont) che tra i suoi più acerrimi sostenitori vede proprio l'intero establishment repubblicano, convinto di poter vincere senza problemi contro un candidato ultra-liberal. Negli ultimi nove mesi, Dean è salito dal 2 al 23 per cento nello "stato-campione" dell'Iowa, mentre i moderati John Kerry (governatore del Massachusetts), Joe Lieberman (candidato alla vicepresidenza nella sfida Bush-Gore) e Dick Gephardt (congressman del Missouri) sono inchiodati, rispettivamente, all'11, 4 e 17 per cento. Oggi, a livello nazionale, Dean può contare sul 15% dei consensi dell'elettorato democratico, con una crescita del 200% negli ultimi due mesi. Abbastanza da far impallidire i nipotini di Clinton, che già pensano ad Hillary o Al Gore come possibili  contromisure. E abbastanza per far sorridere i repubblicani.

12 settembre 2003

mancia@ideazione.com

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