Israele e Palestina: non ci sono alternative
alla pace
di Cristiana Vivenzio
Se la Roadmap proseguirà nel suo corso, il presidente americano Bush
potrà vantare a pieno titolo un altro successo personale. Dopo la
liberazione dell’Afghanistan dal regime talebano e la guerra alla
dittatura di Saddam e al terrorismo internazionale, in casa Bush la
risoluzione della questione tra Israele e Palestina diviene questione
centrale per il riequilibrio dell’intera area mediorientale, anche in
vista del secondo mandato presidenziale. Stretto nella morsa tra la
politica economica e di sicurezza interna e la necessità di portare a
compimento un percorso avviato all’indomani dell’attentato alle Torri,
il presidente degli Stati Uniti, con lo sguardo sempre rivolto alle
presidenziali del prossimo anno, ha incassato il primo parziale successo
al vertice giordano dei giorni scorsi, invitando i convenuti ad una
presa d’atto incontrovertibile: “Non ci sono alternative alla pace.
Nessun leader con una coscienza può tollerare altri mesi di lutti e
umiliazioni”. Il cerchio sembra chiudersi sempre di più attorno alle
frange estremiste di Hamas, se anche il leader prescelto
dall’Associazione nazionale palestinese, Abu Mazen, afferma che “è tempo
di porre fine alle sofferenze degli ebrei”.
Ma che cosa prevedono nel dettaglio le tappe della Roadmap? Il piano di
pace, presentato il 30 aprile 2003 all'Autorità palestinese e al governo
israeliano, si articola in tre fasi, da attuare nel complesso in tempi
assai brevi (entro il biennio 2003-2005). Nell’arco dei due anni si
dovrà giungere ad una “risoluzione finale e completa” del conflitto
israelo-palestinese, con la creazione di “uno Stato di Palestina
indipendente e democratico” che “conviva in pace e sicurezza con
Israele”. Nel corso di questa prima fase – di cui principalmente si è
trattato al vertice giordano - le autorità palestinesi dovranno in primo
luogo provvedere all’immediata cessazione delle violenze e dell’attività
terroristica sui territori e non e all’accettazione del diritto di
Israele di esistere in pace e sicurezza. A questo primo passo dovranno
seguire “libere elezioni, aperte e corrette”. In occasione del recente
vertice di Aqaba, da parte palestinese si è mostrata piena disponibilità
a mettere fine alle violenze. Abu Mazen ha dichiarato di essere pronto a
“smantellare le sacche del terrore” senza condizioni, ha condannato
tutti coloro che finanziano organizzazioni terroristiche, ha parlato di
un impegno serio nel porre fine alla intifada armata. Lo stesso Arafat
dal suo esilio forzato nel quartiere generale di Ramallah ha convenuto
su questo punto, richiamando i suoi a tale impegno e manifestando il
pieno appoggio al capo del governo, il fratello Abu Mazen. Aggiungendo
che l’incontro di Aqaba rappresenta un’occasione da non farsi sfuggire.
In effetti, sono in molti coloro che vedono nuovi spiragli
nell’orizzonte mediorientale: perché Bush ha affermato a chiare note che
il progetto di pacificazione porterà alla divisione della Terra Santa in
due Stati e che gli Stati Uniti svolgeranno un ruolo di primo piano nel
processo di mediazione e in futuro. Perché questo avvenga - ecco le
richieste fatte ad Israele di questa prima fase del progetto presentato
congiuntamente da Stati Uniti, Federazione Russa, Unione Europea e Onu –
è necessaria la fine della colonizzazione israeliana dei Territori
palestinesi e lo smantellamento di alcuni insediamenti: quelli
successivi al marzo del 2001. Il piano rimanda alla fine di quest’anno,
e successivamente alla creazione di una Conferenza internazionale
istituita ad hoc, la nascita di uno Stato palestinese indipendente,
reale, e sovrano con confini provvisori. E al prossimo anno, e con
scadenza 2005, l’impegno a convocare una seconda Conferenza
internazionale che porti alla risoluzione del problema dei rifugiati
palestinesi, dei confini definitivi del nuovo Stato di Palestina, e del
“caso-Gerusalemme”. Di fronte al rifiuto di entrambe le parti di
rinunciare alla città santa, si è lanciata infatti con un’ipotesi di
sovranità congiunta sulla città che molto darà da discutere nel corso
dei negoziati. A questo dovrà far fronte la pace definitiva tra Israele
e gli Stati arabi. Caro, dunque, il prezzo della pace, forse più salato
per Sharon, stretto sempre più tra due fuochi – Stati Uniti da una parte
ed ebrei delle colonie dall’altra – meno oneroso per i palestinesi, che
vedranno riconosciute molte delle richieste avanzate in questi anni di
trattative interrotte e maturate, primo fra tutti il riconoscimento di
uno Stato di Palestina e l’immediata liberazione dei territori occupati
dai coloni ebrei in Cisgiordania e Gaza.
6 giugno 2003
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