Si può esportare la democrazia?
L’ottimismo di Fareed Zakaria

di Stefano Magni

Tastare il polso alla democrazia. Questo può essere considerato come il modo migliore per capire il mondo di oggi ed è questo il metodo seguito dal giovane professore indiano, trapiantato negli Stati Uniti, Fareed Zakaria. Tutti i progressi e tutti i problemi del mondo di oggi, dal boom economico alle guerre etniche, dal terrorismo islamico alle crisi economiche in Asia, si possono riassumere in un unico fenomeno: la diffusione della democrazia nel mondo. A volte le democrazie riescono, a volte falliscono, a volte si pensa di esportare la democrazia per ricostruire un paese (come in Iraq), o per renderlo da nemico ad amico (come in Palestina). Lo studio della democrazia, dunque, diventa essenziale anche come guida pratica all’azione politica: se non si comprende a fondo dove e come la democrazia può attecchire, dove e come può produrre effetti benefici, una politica di democratizzazione può anche ottenere gli effetti opposti rispetto a quelli desiderati.

La risposta di Zakaria agli interrogativi sulla democratizzazione, è semplice: senza libertà, la democrazia non può esistere, può solo implodere in una lotta di tutti contro tutti o trasformarsi rapidamente in una nuova dittatura. Libertà e democrazia sono distinte, ma mentre la prima può sopravvivere senza la seconda, la seconda non esiste senza appoggiarsi sulla prima. Per dimostrarlo, l’autore indo-americano ci accompagna in un rapido viaggio nella storia e nell’attualità nel suo nuovo e agile saggio “The future of freedom: illiberal democracy at home and abroad”. La libertà è più antica della democrazia. E’ nata in Europa, non solo per motivi culturali, ma anche per molte cause strutturali fortuite tipiche dell’Europa medioevale. La frammentazione politica dell’Europa nei “secoli bui”, la lotta tra papato e impero, fra cattolici e protestanti, fra nobili terrieri e monarchi, sono tutti episodi drammatici e sanguinosi della storia europea che hanno impedito la nascita di un unico potere forte in grado di schiacciare ogni forma di libertà, mentre hanno permesso l’apertura di spazi di libertà, il ritaglio di nicchie autonome.

Se la frammentazione dell’Europa medioevale e rinascimentale ha impedito a un potere forte centrale di schiacciare la libertà, la rivoluzione industriale e la nascita del capitalismo moderno hanno dato inizio alla “libertà dei moderni”. Con l’affermarsi di un ceto, sempre più esteso, di imprenditori ricchi e allo stesso tempo indipendenti dallo Stato, è stata via via più forte l’esigenza di proteggere la propria libertà individuale da qualsiasi forma di coercizione esterna, statale o sociale che fosse. E’ qui che nasce la libertà dei moderni ed è qui che incomincia il rapporto di amore e odio fra libertà e democrazia. Perché mentre negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dalla fine del Settecento ad oggi, la democrazia si è fondata su un sistema di leggi liberali, nel grosso dell’Europa continentale libertà e democrazia sono rimaste fortemente conflittuali fra loro fino alla fine della seconda Guerra Mondiale. La democrazia europea continentale era foriera di ideologie estremiste e liberticide, diffuse da filosofi di successo e amate dal popolo, mentre i diritti individuali e la libertà di mercato erano difesi da alcuni monarchi e da ristrette oligarchie illuminate. Da qui la definizione di “autocrazia liberale” adottata da Zakaria per descrivere gli imperi e i regni europei della seconda metà dell’Ottocento, così come il Cile di Pinochet e alcuni paesi dell’Asia orientale, come Hong Kong, la Corea del Sud e Taiwan prima delle loro riforme democratiche. Dove le democrazie si sono fondate su partiti e ideologie non liberali, come nella breve esperienza della Repubblica di Weimar o in quella brevissima della Repubblica in Spagna, esse sono implose, trasformandosi ben presto in dittature. Solo in quei paesi in cui le libertà erano ben salde nella cultura popolare, regimi autocratici sono stati sostituiti da democrazie solide e longeve.

L’analisi storica della democrazia in Europa non è il pretesto per sostenere che la democrazia è un carattere unicamente occidentale, quindi non esportabile. La democrazia è esportabile ovunque, laddove sia stata prima “esportata” la libertà. La Cina è vista come il grande banco di prova di questa teoria. In Cina, infatti, il regime comunista detiene il potere politico in modo assolutista e controlla una buona metà delle aziende cinesi. Tuttavia il suo potere continua ad essere eroso dalla nascita di imprese indipendenti e aperte al mondo. In futuro si vedrà se il regime di Pechino riuscirà a reimporre nuovamente il suo potere assoluto, strangolando quel che c’è di libero nell’economia cinese, a costo della sua autodistruzione, o se si lascerà travolgere dal mercato. Questo, secondo Zakaria, dipende unicamente dalla volontà dello stesso regime comunista cinese. Sulle ceneri di altre autocrazie liberali, come le già citate Hong Kong, Taiwan, Corea del Sud, Cile, il mercato ha prevalso e oggi questi paesi (tranne Hong Kong, annesso alla Cina) sono solide democrazie liberali.

Poi vi sono molti esempi di evidente fallimento della democratizzazione. A partire dalla Russia il cui ex liberatore, Boris Eltsin, per difendersi da potenti nemici antidemocratici e antiliberali, ha concentrato nelle proprie mani gran parte del potere politico ed economico, sopprimendo gradualmente la libertà di impresa e di espressione, finendo per essere un nuovo dittatore russo, pronto a lasciare in eredità a Putin una nuova autocrazia. Nella vicina Asia centrale, una democratizzazione rapida e priva di basi liberali ha portato alla nascita di nuove dittature intolleranti. E lo stesso è avvenuto nella più nota Bielorussia. In tutti questi casi, un presidente eletto, forte del consenso iniziale, non intende più sottoporsi al voto popolare. Lo stesso avviene in Venezuela con Chavez, il generale-presidente che non si dimette più, nemmeno di fronte alla sollevazione dei due terzi del proprio popolo. In altri casi, una democratizzazione rapida e priva di basi liberali, ha condotto direttamente alla guerra civile. E’ il caso di paesi caratterizzati da una composizione etnica mista, in cui l’etnia minoritaria ha paura di essere schiacciata dall’etnia maggioritaria. La ex Jugoslavia e il Caucaso sono gli esempi più evidenti, ma anche l’Africa, così frammentata nelle sue strutture tribali, ha risentito pesantemente di una democratizzazione importata frettolosamente sotto la tutela dell’Onu. In Africa, nel Caucaso, nei Balcani, la democrazia ha causato guerre. In questo Zakaria è convinto che la teoria della “pax democratica” (“le democrazie non si fanno guerre tra loro e non scatenano violenza al loro interno”) debba essere interpretata meglio: solo le democrazie liberali non si fanno guerre fra loro e sono pacifiche al loro interno. Dunque: “La pax democratica è un fenomeno reale, ma non riguarda la democrazia, bensì la libertà: è una pax liberale”.

L’unica realtà nel mondo in cui sia la libertà che la democrazia sembrano sconosciute è il Medio Oriente. Da non confondere con il più esteso “mondo islamico”. Zakaria è più ottimista rispetto al suo collega Samuel Huntington, in quanto sostiene che l’Islam sia perfettamente integrabile in sistemi occidentali. L’autore sfata il mito della “mancata separazione fra Stato e Chiesa nell’Islam”: al di là dell’eresia iraniana, una Chiesa o un Papa nell’Islam non sono mai esistiti. Il problema di separazione fra Stato e Chiesa, nel mondo islamico, non è mai esistito, dato che l’Islam è una religione di cui tutti possono farsi sacerdoti. In contesti estranei al Medio Oriente, l’Islam si adatta bene anche a sistemi secolari (Indonesia e Filippine) e anche democratici, come nel caso dei milioni di musulmani integrati negli Stati Uniti e in Europa. Il problema islamico è politico ed economico, è un problema recente ed è limitato al Medio Oriente. Una volta raggiunta l’indipendenza dalle potenze coloniali inglese e francese, i paesi mediorientali sono finiti sotto dittature che vedevano la modernizzazione nel socialismo e nel nazionalismo, filosofie attinte dai movimenti più illiberali d’Europa. Le dittature nazional-socialiste arabe hanno applicato alle loro popolazioni le peggiori tecniche di indottrinamento, controllo e repressione sperimentate altrove dai “maestri” nazisti e comunisti, alienandosi ben presto la popolarità.

Sul piano economico, la fortuna di trovarsi in paesi ricchissimi di risorse naturali petrolifere o in posizioni strategiche fondamentali (basti pensare agli introiti dati dal Canale di Suez) ha arricchito i regimi, dando loro la possibilità di comprare più armi e più strumenti di controllo sulla popolazione, ma non ha contribuito affatto alla formazione di una classe ricca e indipendente dallo Stato. I “soldi facili”, dovuti al possesso di risorse naturali o a consistenti aiuti internazionali, non hanno mai permesso la nascita di un ceto medio indipendente, nel Medio Oriente così come in Africa. Il risultato di decenni di dittature nazional-socialiste, è la nascita, in ambienti intellettuali, dell’islamismo radicale quale unica, vera opposizione al regime. Gli islamici radicali vedono i loro odiati regimi come essi si mostrano al loro interno: dei modernizzatori occidentalisti. E per questo gli islamici radicali hanno incominciato ad odiare la modernità e l’Occidente.

L’Islam radicale, dunque, è un problema recente e per questo risolvibile. Non è il frutto di un millennio e mezzo di storia dell’Islam, ma il prodotto del fallimento di corrotti e violenti regimi nazional-socialisti arabi nell’ultimo mezzo secolo. Per combattere l’islamismo radicale, dunque, occorre risolvere il problema alla sua vera radice: promuovere un’economia di libero mercato nel Medio Oriente, dando spazio a una nascente classe imprenditoriale, laica, pratica e più lontana dalle ideologie e dallo Stato, osservabile già oggi in tutti i paesi mediorientali. Per Zakaria, è su queste basi che si deve ricostruire l’Iraq, come modello da imitare anche da tutti gli altri paesi della regione. E’ l’Iraq, un paese ancora memore di un passato recente di libertà e progresso, il banco di prova fondamentale della rinascita liberale del Medio Oriente.

6 giugno 2003

stefano.magni@fastwebnet.it

 

stampa l'articolo