Medio Oriente, l’Italia guida il ritorno
dell’Europa alla politica
di Alessandro Bezzi
Forzando un po’ la mano si potrebbe dire che il semestre di presidenza
italiano dell’Unione Europea è cominciato di fatto ad Aqaba. Con il
passo in avanti compiuto da Sharon e Abu Mazen sulla Roadmap che
potrebbe portare alla soluzione dell’eterno conflitto israeliano
palestinese, si apre per l’Europa l’opportunità finalmente di giocare un
ruolo positivo nella vicenda mediorientale. Che anche Bush ne senta il
bisogno è testimoniato da due fatti. Il primo: tra gli sponsor della
Roadmap figura anche l’Unione Europea, accanto agli Stati Uniti, alla
Russia e all’Onu, il fatidico quartetto che scommette su un futuro di
democrazia e libertà per il turbolento Medio Oriente. Il secondo: ha
dato ufficialmente mandato a Silvio Berlusconi di svolgere un ruolo
prioritario nel negoziato in qualità di prossimo presidente della UE.
Il premier italiano ha rispolverato un’idea che da tempo gli frullava
nella testa: accompagnare i progressi che Sharon e Abu Mazen saranno
capaci di realizzare sul piano politico con un Piano Marshall per
l’economia dell’intera area. Obiettivo: aiutare a realizzare e
rafforzare un mercato unico arabo nel quale l’apertura degli scambi
commerciali rilanci le economie della zona. Quelle già ricche, come è il
caso di Israele, e quelle ancora povere. L’idea, per quanto andrà ancora
sviluppata nei dettagli operativi e corroborata da ingenti investimenti
di tipo finanziario, coglie nel segno. Una delle carte giocate da Sharon
per spingere la maggioranza dei cittadini israeliani sulla strada della
Roadmap è proprio quella dell’economia. Che ha subito pesanti flessioni
da quando Israele è tornata in trincea e ha dovuto impegnarsi nella
difesa dagli attacchi terroristici dell’estremismo palestinese.
Un’economia florida e innovativa come quella israeliana, che potrebbe
fare da locomotiva per l’intera area mediorientale, è costretta quindi
ad arrancare: disoccupazione in crescita, prodotto interno lordo in
caduta. Non va meglio agli Stati arabi confinanti.
E la crescita dell’economia sarebbe proprio il volano giusto per
accompagnare la diffusione della democrazia nel mondo arabo, il
rasserenamento dei rapporti fra Israele e i suoi vicini, la nascita di
uno Stato palestinese che risolva uno dei problemi decisivi per la
stabilità dell’intero quadrante mediorientale. L’Europa, dunque, può
finalmente giocare la partita. Provare a rientrare nel grande gioco
internazionale, dal quale si era auto-estromessa con le titubanze nella
guerra al terrorismo islamico e le divisioni nella guerra all’Iraq. E
può farlo grazie all’Italia, la cui posizione moderata ma fedele
all’Occidente consente oggi di dialogare con tutti. Potrebbe così
accadere che invece di attardarsi sulle posizioni un po’ astiose di un
Solana (che ancora nei giorni scorsi ha ribadito a nome dell’Europa
scetticismo sul vertice di Aqab), il Vecchio Continente torni a fare
politica a tutto campo. Magari in nome della dottrina dell’ingerenza
democratica rilanciata ad Evian da Berlusconi.
6 giugno 2003 |