Roadmap verso l’Unione Europea
di Barbara Mennitti

Per l’ennesima volta, la crisi israelo-palestinese sembrerebbe giunta alla svolta risolutiva. Il presidente Bush si è messo di buzzo buono, deciso a riuscire dove tanti suoi predecessori (primo fra tutti Bill Clinton) hanno fallito: trovare una soluzione ad una delle questioni più spinose dei nostri giorni. Una soluzione che sia accettabile per entrambe le parti in causa e, quindi, duratura. Ariel Sharon, fino a ieri descritto dalla stampa nostrana alla stregua di un criminale di guerra, viene oggi osannato come l’uomo della pace. Il primo premier israeliano ad aver chiamato apertamente “occupazione” quella dei coloni, sfidando i suoi oppositori a definirla diversamente. La vera novità di questa trattativa, quella che fa sperare che stavolta le cose potrebbero andare diversamente, è che dall’altra parte del tavolo non ci sarà Yassir Arafat, da sempre rappresentante unico e indiscusso dei palestinesi. Al tavolo delle trattative, al posto dell’anziano leader con la kefiah, ci sarà un distinto signore in giacca, cravatta e capo scoperto. Abu Mazen, nuovo primo ministro dell’autorità palestinese, la cui indipendenza e rappresentatività e ancora tutta da dimostrare.

Ma la soluzione proposta dalla Roadmap, la creazione di due stati indipendenti, non sembra a tutti in grado di risolvere la questione. Da circa quindici anni, i radicali di Marco Pannella si battono perché Israele venga ammesso nell’Unione Europea. Una proposta che inizialmente sembrava assurda e provocatoria, ma che oggi inizia a raccogliere consensi autorevoli e a non sembrare più tanto peregrina. Siamo, infatti, sicuri che la creazione di uno Stato palestinese indipendente sia davvero la soluzione? Quale giovamento porterebbe a una popolazione povera e disperata avere una nuova dittatura, un nuovo staterello repressivo? E che interesse ha l’Occidente a creare l’ennesimo Stato-canaglia del Medio Oriente, che magari centralizzi la guerra a Israele? E’ una logica, quella degli Stati nazionali, ormai superata dall’interdipendenza e dalle unioni fra Stati che rischia di non risolvere minimamente la situazione, lasciando i palestinesi nella loro condizione di sottosviluppo e di disperazione.

La soluzione europea prospettata dai radicali potrebbe invece liberare Israele dall’ossessione militare, rendendolo una vera e propria testa di ponte della democrazia in un’area afflitta dai dispotismi e dalle teocrazie e sottraendolo ad una logica di guerriglia e terrorismo che non avrebbe più senso in un contesto allargato. Una battaglia di democrazie e di libertà, quindi, anche per i palestinesi. Perché è vero, come sostiene Francesco Merlo in un articolo su Sette, che oggi l’unica rivoluzione possibile in Medio Oriente è quella della democrazia e della modernizzazione.

La proposta sta iniziando a suscitare interesse e consensi anche in Israele. Qualche settimana fa Marco Pannella si è recato in terra ebraica con una delegazione del Parlamento europeo, dove ha raccolto la prudente adesione del ministro degli Esteri Silvan Shalom e di due presidenti di commissioni parlamentari, Shalgi e Shtern. Già l’anno scorso si era dichiarato entusiasta il presidente della Repubblica israeliana, Katsav. Insomma, l’Unione Europa potrebbe avere i mezzi per sciogliere il nodo della crisi mediorientale, saldando finalmente l’enorme debito culturale, storico e morale che ha verso gli ebrei e frenando lo strisciante antisemitismo che sta risorgendo in Europa. Resta, però, da dimostrare se ne sarà all’altezza.

6 giugno 2003

bamennitti@deazione.com
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