Una guerra fratricida?
di Pierluigi Mennitti

Grozny, Cecenia. Riad, Arabia Saudita. Casablanca, Marocco. Gerusalemme, Israele. Ankara, Turchia. E’ la nuova geografia del terrore all’indomani della guerra in Iraq. La lunga catena degli attentati, degli uomini-bomba dei vari terrorismi islamici, che seminano morti e paure. E la speranza, in verità presto smorzata dalle indiscrezioni delle Intelligence occidentali, è che il filo rosso si fermi, il più presto possibile. L’offensiva è partita, dalle cellule risvegliate della rete Al-Qaeda e dalle filiere terroriste dell’estremismo palestinese. Ma quali sono gli obiettivi di questa offensiva che pare tanto una resa dei conti all’interno del mondo arabo? Arabi sono i paesi colpiti, anche se gran parte degli attentati si sono rivolti contro obiettivi occidentali. Arabe sono la gran parte delle vittime, rimaste maciullate dalla potenza distruttiva delle esplosioni. Una guerra civile, o meglio uno scisma all’interno dell’Islam, come sostiene Carlo Panella nell’intervista realizzata da Cristina Missiroli che apre questo numero di Ideazione.com? O i colpi di coda, terribili e violenti, di un terrorismo che vede restringere sempre di più il proprio campo d’azione e per questo colpisce dove è più facile, dove i controlli sono ancora insufficienti, dove gli Stati si sentivano al riparo? O tutte e due le cose assieme?

Dunque nel mirino finiscono i paesi arabi cosiddetti moderati, quelli nei quali l’estremismo è stato tenuto a bada anche a prezzo della restrizione delle libertà politiche, della corruzione, e in ultimo di compromessi ricercati e a volte trovati con le componenti più politiche dell’integralismo. Tutto inutile, a quanto pare. Nel Marocco risvegliato all’improvviso dal tragico assalto di Casablanca, la gente osserva che l’11 settembre è arrivato anche lì. Che poi è qui, solo sull’altra sponda. L’onda d’urto è partita dalla lontana Cecenia, si è propagata per l’Arabia turbolenta, invorticandosi nell’eterna disputa israleiano-palestinese per deflagare di fronte alle nostre coste. Mesi fa l’attentato di Bali ha spezzato una ricchezza primaria dell’economia indonesiana, il turismo. Lo stesso può accadere per il Marocco. Una crisi economica lungo la sponda meridionale del Mediterraneo avrà riflessi anche da noi.

Le conseguenze possono dunque essere molteplici e aprire diversi fronti di crisi (politici, economici, sociali) all’interno dei paesi colpiti. Meno chiari sono - apparentemente - gli obiettivi finali, le prossime mosse e dunque i sistemi per difendersi e contrastare il terrorismo islamico, dal momento che abbattere i regimi autoritari è operazione utile ma non definitiva. Nel frattempo si vive nella paura e si fa quel che si può: si innalzano i livelli di allarme, si chiudono le ambasciate in Arabia Saudita, si rafforza la sicurezza negli aeroporti, si rincorrono le soffiate dei servizi di Intelligence. In attesa magari che l’Islam moderato, entrato nel mirino nell’ultima tornata di bombe, decida finalmente da che parte stare.

23 maggio 2003

pmennitti@ideazione.com




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