Marocco, il terrorismo alle porte di casa
di Giuseppe Mancini

Al-Qaeda ha colpito ancora: stavolta in Arabia Saudita e in Marocco, contro obiettivi prevalentemente americani ed ebraici, sempre col sistema ormai tragicamente consolidato degli uomini-bomba che hanno fatto decine e decine di vittime. Si tratta di una nuova ondata direttamente prodotta dall’intervento Usa in Iraq, come reazione del mondo islamico più estremista? Oppure è il colpo di coda di un’organizzazione ormai disarticolata, che ha sfruttato, proprio dopo il rovesciamento di Saddam Hussein, un momento di tregua nella lotta globale contro il terrorismo? In effetti, ciò che colpisce maggiormente di questa recrudescenza sono le novità operative, la saldatura sempre più stretta tra terroristi effettivamente internazionali e istanze locali: con il marchio di fabbrica di al-Qaeda ormai affibbiato a ogni azione che dalla cerchia di bin Laden nei fatti dipende in modo estremamente indiretto.

La selezione dei bersagli risponde a criteri noti: Stati la cui leadership politica è ritenuta compromessa con l’Occidente, Stati avviati verso una modernizzazione del sistema politico-sociale, Stati aperti al turismo e che dal turismo traggono cospicue entrate. Ma gli attentati di Casablanca hanno stupito gli analisti e gli inquirenti per due fondamentali motivi. Primo, le azioni suicide sono state organizzate in modo sofisticato e rigoroso, con estrema precisione nella selezione dei bersagli e perfetta sincronizzazione, ma sono state attuate con inaspettata improvvisazione e approssimazione: ideate da professionisti, realizzate da dilettanti, da persone male addestrate. Secondo, nonostante che la vocazione turistica, la collaborazione con gli Usa nella lotta al terrorismo e l’impostazione modernizzatrice del regno di Mohammad VI ne facessero in teoria un logico obiettivo, il Marocco sembrava aver trovato delle formule vincenti per imbrigliare l’islamismo: cioè, cooptando gli islamisti più moderati all’interno del sistema politico, riservando la repressione (anche dura) agli estremisti sospetti di collusione con le reti terroristiche internazionali.

In effetti, la stessa dinastia regnante marocchina si fregia di credenziali islamiche impeccabili, “sceriffiana” perché i regnanti si proclamano discendenti diretti dalla famiglia del Profeta; e la partecipazione attiva nella lotta anticoloniale (posizione intransigente sul Sahara occidentale inclusa) ne rafforza il prestigio: ed è pertanto un attore politico in grado di muoversi da una posizione di forza, perché ben radicato nel tessuto socio-politico del paese (nonostante la creazione di un regime per larghi tratti autoritario da parte di Hassan II), nei rapporti con gli islamisti. Ma un campanello d’allarme sul progressivo radicamento dell’islamismo politico in Marocco era già suonato, lo scorso anno, per la spettacolare affermazione del Partito della giustizia e dello sviluppo: tant’è che il Re ha deciso lo slittamento del voto amministrativo di quest’anno da giugno a settembre, proprio per evitare una possibile nuova avanzata favorita dal malcontento per gli eventi iracheni e per la posizione moderata assunta da Rabat – nuova avanzata che avrebbe consentito probabilmente agli islamisti di conquistare il governo delle più importanti città del paese.

L’avanzata c’è però stata – e possente – nelle fila dei gruppuscoli islamisti più radicali: Al-Sirat Al-Moustaquim (La retta via), responsabile degli attentati di Casablanca; la Jihad salafita, attiva probabilmente anche nel nostro paese per il reclutamento e il finanziamento, ma forse persino con cellule terroristiche vere e proprie; gli afgani marocchini, i reduci della lotta contro l’Unione Sovietica tornati in patria, a cui tutti gruppi sotterranei fanno riferimento e che si distinguono per la loro intransigenza ideologica e le loro abilità operative. In Marocco, ora si dovrà discutere su come reagire: intensificando la repressione, senza far troppe distinzioni tra islamisti radicali e moderati; oppure provando a rendere sempre più aperto il sistema politico, magari accettando che gli islamisti moderati si cimentino con responsabilità amministrative, evitando soprattutto che la repressione faccia esplodere il malessere sociale che cova un po’ dappertutto, causato da una situazione economica non certo florida. Nella lotta contro il terrorismo internazionale, invece, si dovrà tener conto di questa preoccupante virtù di al-Qaeda: eterogenea, priva di strutture eccessivamente centralizzate, estremamente flessibili nei canali di finanziamento e di reclutamento, soprattutto in grado di saldarsi pericolosamente alle istanze locali, trasformando tutto il mondo islamico in campo di battaglia tra moderati sempre più in difficoltà ed estremisti pronti a sfruttare ogni minimo spiraglio per consolidarsi e imporre la propria folle agenda.

23 maggio 2003

giuse.mancini@libero.it

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