Israele torna in trincea. Per colpa di Arafat
di Stefano Magni

Se gli israeliani, già dall’inizio, nutrivano molti dubbi sull’esito del nuovo processo di pace, dopo cinque attentati subiti in meno di 48 ore, la sfiducia nei confronti dell’interlocutore palestinese è diventata ancora più forte. L’escalation terroristica è stata impressionante nell’ultima settimana. Tra il 17 e il 19 maggio scorsi, infatti, nell’ordine: un attentatore suicida palestinese ha ucciso una giovane coppia di cittadini israeliani a Hebron, due terroristi sono stati intercettati e uccisi mentre cercavano di penetrare nell’abitato di Sha’arei Tikvah, un attentatore suicida (travestito da ebreo ortodosso) si è fatto saltare in aria su un autobus di linea a Gerusalemme uccidendo 7 passeggeri, mentre un altro uomo-bomba si faceva esplodere su un altro autobus di linea, stesso percorso, all’altezza del posto di blocco di Al Ram, senza riuscire a fare vittime; infine, il 19 maggio, una studentessa palestinese si è suicidata nella cittadina di Afula, provocando altri tre morti.

Non solo: questa raffica di attentati suicidi va letta nel suo contesto di escalation di violenza anti-israeliana su tutti i fronti: per due volte i palestinesi hanno lanciato i loro missili Qassam dalla striscia di Gaza contro la città israeliana di Sdarot, mentre gli Hezbollah (per intimidazione? per lanciare un segnale di esistenza?) hanno sparato alcuni colpi di artiglieria antiaerea oltre il confine meridionale libanese. Per non parlare dell’attentato a Casablanca, che mirava a colpire soprattutto obiettivi ebraici e israeliani. Se questa la si vuol chiamare pace… Appare illusoria, prima di tutto, la “svolta” di Abu Mazen, non solo e non tanto per il suo passato compromesso (autore di testi antisemiti e sospettato di aver finanziato l’attentato di Monaco), né per il suo presente ambiguo (il suo impuntarsi sul “diritto al rientro” prima di tutto), ma per la sua mancanza di potere reale all’interno dell’Autorità Nazionale Palestinese. “Ho mandato Abu Mazen e Dahlan a trattare con Sharon” ha dichiarato orgogliosamente Arafat in un’intervista rilasciata a Fox News, giusto per ribadire, di fronte a un pubblico internazionale, chi comanda veramente.

E Arafat non si è mostrato per nulla in linea con i termini degli accordi raggiunti, sulla lotta al terrorismo anti-israeliano e sulla spartizione dei territori. Lo ha dichiarato, preventivamente, in quella stessa intervista rilasciata a Fox News: non accetterà mai, a nessuna condizione, di abbandonare territori. Coerentemente con la linea di Arafat, il Monte del Tempio non verrà aperto ai non-musulmani. Anzi, il muftì di Gerusalemme (nominato da Arafat), Ikrimah Sabri, ha minacciato di far scoppiare una “terza intifada” (come se la seconda fosse già finita…) nel caso un “infedele” metta piede sul Monte, attualmente l’unico luogo santo chiuso al pubblico in tutta Israele. Rimane forte, poi, il sospetto che Arafat continui a sponsorizzare direttamente gli attentati suicidi. Si tratta di un sospetto fondato su molte prove e testimonianze. 

Di recente, membri delle Brigate Martiri Al Aqsa hanno dichiarato di ricevere uno stipendio regolare dal governo palestinese (la cassa dell’Anp è gestita da Arafat, ndr) e di non aver alcuna intenzione di deporre le armi contro Israele. E l’ultimo attentato ad Afula è stato rivendicato da Al Aqsa. Arafat, tuttora, ospita personalmente un gruppo di super-ricercati per terrorismo: per evitare la richiesta israeliana di estradizione, li ha resi tutti sue guardie del corpo personali. Quindi, non ha tutti i torti chi sostiene, anche all’interno del governo Sharon, che, dietro agli attentati dell’ultimo fine settimana, vi sia la volontà del raìs di riaffermare il suo potere. A spese dei civili israeliani.

La risposta di Sharon, visti i danni subiti, è stata questa volta piuttosto moderata, a dispetto di quei commentatori che lo accusano di voler far fallire la Roadmap. Il premier israeliano si è opposto alla proposta del Likud di esiliare Arafat. Ha rinviato il suo incontro con Bush per discutere del piano di pace (in seguito all’emergenza prodotta dai nuovi attentati), ma senza accantonare l’idea di accettare uno Stato palestinese indipendente. Oltre a bloccare i territori palestinesi, come sempre dopo una grave ondata terroristica, l’unica vera rappresaglia politica israeliana è consistita nell’aver promosso un boicottaggio politico-diplomatico contro l’anziano leader dell’Olp, a cui hanno aderito anche gli Stati Uniti. Qualcuno lo spieghi anche all’Unione Europea.

23 maggio 2003

stefano.magni@fastwebnet.it

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