Dove va la Turchia di Erdogan?
di Rodolfo Bastianelli

Tra le tante conseguenze che il conflitto in Iraq avrà sugli equilibri politici del Medio Oriente una delle più rilevanti riguarderà il futuro delle relazioni tra Washington e Ankara. Unico paese musulmano membro della Nato, la Turchia proprio per la sua posizione strategica – era il solo Stato dell’alleanza, insieme alla Norvegia, a confinare con l’Unione Sovietica – è stata sempre considerata la “portaerei di terra” degli Stati Uniti, l’alleato di ferro pronto a sostenere Washington in ogni circostanza. Ora però questo legame rischia di spezzarsi soprattutto per due ragioni.

La prima riguarda la questione curda. L’appoggio offerto dai guerriglieri curdi alle forze statunitensi nelle operazioni militari condotte nel nord dell’Iraq, ha irritato non poco il governo di Ankara, che è arrivato a minacciare un intervento dell’esercito turco qualora i “peshmerga” non si fossero ritirati dalle città di Kirkuk e Mossul. La Turchia teme che si possa arrivare alla creazione di un Kurdistan indipendente o dotato di un’ampia autonomia, cosa che potrebbe spingere la minoranza curda dell’Anatolia turca ad avanzare analoghe rivendicazioni verso il governo di Ankara. Dal 1991, infatti, il Kurdistan iracheno è di fatto uno Stato semi–indipendente, dotato di una propria moneta, di una struttura amministrativa e di una forza di polizia autonoma. Proprio per questo le due maggiori formazioni politiche curde, l’Unione Patriottica (UPK) di Jalal Talabani ed il Partito Democratico (PDK) di Massud Barzani spingono per l’indipendenza o quantomeno ad una larga autonomia interna, anche come contropartita per l’appoggio offerto agli alleati durante il conflitto. 

Non meno importanti sono le ragioni di ordine economico: il governo turco punta ad ottenere delle concessioni sui ricchi giacimenti petroliferi di Kirkuk e Mossul, mentre non va dimenticato come nel nord dell’Iraq sia presente una consistente minoranza turcomanna che Ankara ha dichiarato di essere pronta a difendere qualora diventasse oggetto di ritorsioni da parte dei curdi e degli arabi. 

La seconda ragione dell’attuale freddezza nelle relazioni tra Turchia e Stati Uniti risiede nel mutato quadro politico turco. Le elezioni legislative del 3 novembre scorso hanno letteralmente spazzato via la vecchia classe dirigente laica e filo–occidentale che nel corso degli anni era però diventata sempre più corrotta ed inefficiente, consegnando la maggioranza assoluta dei seggi agli islamici del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP). A questo ha fatto seguito un sempre maggiore sentimento antiamericano tra la popolazione, cosa che ha spinto il premier Erdogan ad esprimere la sua contrarietà all’intervento americano in Iraq,, in quanto deciso senza l’avallo delle Nazioni Unite, limitandosi a concedere a Washington solo l’uso dello spazio aereo turco ma non il diritto di transito sul territorio per le Forze Armate statunitensi. 

A svantaggio della Turchia gioca inoltre il mutato quadro geopolitico internazionale. La scomparsa dell’Unione Sovietica e l’emergere del fondamentalismo islamico, hanno ridotto l’importanza delle basi militari turche a vantaggio di quelle situate nei paesi del Medio Oriente o dell’Asia centrale. Le installazioni di Incirlik, Van e Batman sono infatti in smobilitazione, visto che la maggior parte degli effettivi dovrebbero essere trasferiti nelle quattro basi che gli Stati Uniti si appresterebbero ad impiantare in Iraq. E’ sicuramente azzardato parlare di fine dell’alleanza tra Turchia e Stati Uniti. Ma di sicuro quel legame di ferro che per oltre mezzo secolo ha contraddistinto i rapporti tra i due paesi da oggi in poi è destinato a non essere più così solido.

23 maggio 2003

rodolfo.bastianelli@tiscalinet.it



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