Cipro, l’ultimo muro vacilla ma (ancora) non cade
di Giuseppe Mancini

Anche l’ultimo “muro” d’Europa sembra sul punto di essere abbattuto: i chilometri e chilometri di filo spinato, sacchetti di sabbia, cavalli di frisia, blocchi di cemento e fortificazioni che dal 1974 separano la Repubblica di Cipro dalla Repubblica turca di Cipro nord, tagliando a metà la capitale Nicosia. Un barriera quasi invalicabile che per quasi trenta anni ha praticamente azzerato i contatti (contrabbando a parte) tra greco-ciprioti e turco-ciprioti, tra lo Stato internazionalmente riconosciuto al sud (prospero e moderno) e lo Stato-fantoccio, in realtà zona d’occupazione militare turca (con quarantamila soldati e ottantamila coloni), del nord. Una barriera che, per inaspettata iniziativa delle autorità turco-cipriote, può essere attraversata da turco-ciprioti e greco-ciprioti (i primi per un giorno, i secondi anche per tre ma con pernottamento obbligatorio in hotel): quasi un quarto della popolazione di Cipro, in sole due settimane, è andata “dall’altra parte”, cioè nei propri villaggi d’origine in cui hanno vissuto fino all’invasione turca del 1974 e al susseguente “scambio di popolazioni”.

Retorica politica a parte, infatti, la storia di Cipro è una storia di vivace integrazione, di armonia costruttiva tra greci e turchi, tra ortodossi e musulmani: che avevano nei villaggi misti diffusi in tutta l’isola un modello mutualmente accettato. Non è sorprendente, allora, che anche dopo trenta anni di separazione greco-ciprioti e turco-ciprioti abbiano ripreso con lo stesso spirito dei tempi passati: e in questi giorni gli esempi di spontanea accoglienza e di struggente riconciliazione hanno invaso le pagine di tutti i quotidiani ciprioti. La parola magica è kopiaste, siediti e condividi: che il tradizionale invito cipriota a mangiare insieme il poco o il molto che si ha, perché l’ospite è sempre sacro, anche quando, come avviene spesso nella Repubblica turca di Cipro nord, l’ospite greco-cipriota è in realtà il legittimo proprietario della casa in cui le famiglie turco-cipriote oggi vivono. E l’assenza di incidenti rilevanti tra proprietari e occupanti è la migliore testimonianza di come la stragrande maggioranza della popolazione di Cipro voglia la riunificazione: a dispetto dell’incapacità da parte delle rispettive leadership politiche a trovare una soluzione operativa.

Ma cos’è che ha fatto cambiare idea ai turco-ciprioti, al presidente-autocrate Rauf Denktash? Un primo fattore è senza dubbio la definitiva adesione di Cipro all’Unione Europea, ufficializzata ad Atene lo scorso 16 aprile, nonostante il fallimento dei negoziati sponsorizzati dall’Onu sulla riunificazione: adesione che, a partire dal maggio 2004, riguarderà comunque la Repubblica di Cipro – e tutta l’isola solo in caso di esito positivo dei negoziati. Un secondo fattore, non trascurabile, è la clamorosa protesta che ha coinvolto buona parte della popolazione turco-cipriota proprio contro la posizione oltranzista di Denktash: che è stato accusato dalla comunità internazionale e dai suoi stessi concittadini di essere la causa della situazione disastrosa, soprattutto dal punto di vista economico, della Repubblica turca di Cipro nord. 

Ma il terzo fattore sembra quello determinante: la svolta negli orientamenti geopolitici della Turchia. Il nuovo governo islamico di Erdogan, infatti, si è subito distinto per la sua posizione fortemente pro-europea, imperniata sul tentativo di definitivo superamento del contenzioso con la Grecia: soprattutto dopo che la Turchia ha perso la precedente centralità nella strategia mediorientale degli Usa, dopo gli interventi militari in Afghanistan e in Iraq, l’Europa è diventata il traguardo prioritario per Ankara – che per essere accettata in seno all’Unione deve però procedere a drastiche riforme interne e, per l’appunto, a normalizzare la sua posizione nei confronti della Grecia ponendo fine all’occupazione militare di Cipro. La concreta speranza è che l’ultimo “muro” d’Europa, grazie alla convergenza dello straripante entusiasmo di tutti i ciprioti e delle esigenze geopolitiche della Turchia, venga effettivamente smantellato al più presto.

9 maggio 2003

giuse.mancini@libero.it



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