L’Iraq e le incognite del mondo arabo
di Alessandro Grossato

La storia non si ripete mai, e questo è vero. Ma, come insegna la geopolitica, fatti e misfatti assai simili, se non identici, si svolgono spesso negli stessi luoghi, ma su scala e con intensità variabili. Così, quanto avviene oggi a Baghdad, ricorda molto da vicino, sia pure su scala ridotta, quanto avvenne nell’ottobre 1918, dopo la vittoria dell’Intesa sull’Impero Ottomano e l’ingresso del piccolo ma vittorioso esercito arabo guidato da “El Awrence” a Damasco. Allora era stato promesso agli arabi dagli inglesi un grande Regno Arabo sotto la guida dell’hashemita Faysal, che avrebbe compreso non solo tutta la penisola arabica, ma anche gli attuali territori dell’Egitto, della Palestina, della Siria, della Giordania e dell’Iraq. La promessa era solenne, com’è oggi quella fatta agli iracheni di introdurre la democrazia nel loro paese. In realtà, allora gli inglesi puntavano già ai giacimenti petroliferi di Mossul e dintorni, e per controllarli, si “ritagliarono” letteralmente uno Stato fino ad allora inesistente, l’Iraq appunto, riducendo al suo interno quattro o più raggruppamenti etnici fra loro potenzialmente ostili, che solo l’amministrazione imperiale ottomana era riuscita a moderare. Per ottenere questo i britannici dovettero cedere in cambio ai francesi la Siria, e così del Regno Arabo non se ne fece più niente.

C’è da chiedersi oggi quale democrazia gli americani intendano sinceramente introdurre in Iraq. Questo Stato, che è solo un lembo malamente strappato di terra araba, è in realtà impossibile da governare se non con metodi autoritari a causa della sua grande disparità etnica e religiosa, e costituisce in realtà l’indispensabile trampolino per minacciare e controllare la Siria e l’Arabia Saudita oggi, e domani o dopodomani per partire alla conquista del vero grande obiettivo strategico dell’area, l’Iran sciita. Sempre che un cambiamento dall’interno del regime degli Ayatollah, anche questo più o meno democratico, non l’abbia reso inoffensivo per tempo. E del resto anche Teheran sarà allora solo una tappa lungo la via che, saldando il lungo corridoio aereo e terrestre che dal Mediterraneo orientale arriva fino all’Afghanistan e ai territori delle ex Repubbliche islamiche dell’Urss (già pieni di basi americane) e lambendo quindi i bordi del deserto dello Xinjang, conduce fino a Pechino, dunque al vero obiettivo di una guerra preventiva, i cui tempi finali sono legati principalmente ai prodigiosi ritmi di incremento del Pil cinese, raddoppiato in soli dieci anni, ma oggi miracolosamente frenato dalla Sars.

Nel frattempo in Italia, la Farnesina rilancia alla grande il ruolo dei nostri Istituti di Cultura presso le principali capitali dei paesi arabo-islamici. Doveroso ma tardivo tentativo di ricucire, sulla lunga durata, legami economico-diplomatici, la cui credibilità è ormai già pesantemente compromessa.

9 maggio 2003
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