Economia e finanza: le previsioni del dopoguerra
di Giuseppe Pennisi

Quali saranno gli effetti di questa guerra sui mercati, sul petrolio e sull’economia internazionale se lo chiedono in molti. I tanti scritti pubblicati nelle ultime settimane rigirano numeri e stime noti da tempo. Particolarmente innovativo è un saggio di Andrei Leigh (Università di Harvard) e di Justine Wolfers e Eric Zitzewiths (ambedue dell’Università di Stanford), di fatto inedito in quanto diramato solo sul web, in attesa di apparire in una collana di working papers universitari a cui non ha di solito accesso il grande pubblico. Il lavoro è stato scritto alla vigilia dell’apertura delle ostilità. In esso, tre esperti di finanza internazione si chiedono:"What do financial markets think of war in Iraq?" (“Cosa pensano le piazze finanziarie della guerra in Iraq?). Vi rispondono scoprendo, tra le miriadi di contrattazioni, l’esistenza di un vero e proprio un mercato di derivati (in gergo le “Saddam securities”) articolato sul “futures” ancorati a stime delle probabilità dei tempi e dei modi della guerra (allora ancora non iniziata) e della vittoria. 

Un assaggio si è avuto nelle settimane che hanno preceduto le ostilità quando i “futures” del greggio hanno, per così dire, dato i segnali in materia di “Saddam securities”: quelli “a punto” sono aumentati rapidamente (di ben 10 dollari al barile) ma quelli “a termine” hanno continuato ad indicare che nel giro di un anno ritorneranno ai livelli ante-guerra (ossia sui 25 dollari al barile). In breve, i “dividendi da petrolio” sarebbero di breve durata e di portata limitata. Più significativa, secondo lo studio, l’incidenza sull’azionario: un calo delle quotazioni di quello Usa del 15%, particolarmente pesante nei settori di beni non essenziali di consumo, le compagnie aree e l’alta tecnologia, ma in parte riequilibrato da aumenti delle valorizzazioni nei campi dei metalli preziosi e dell’energia. Se si guarda al mercato delle opzioni finanziarie, i risultati sono di una forte probabilità (il 70%) di un declino moderato degli internazionali (tra lo 0% ed il 15%) con effetti particolarmente forti nei mercati azionari di Turchia, Israele e dei paesi europei importatori netti di olii minerali.

Più rosee le prospettive delineate dalla Banca Mondiale ha già tratteggiato lo scenario per il 2003-2005 nel rapporto “Global Development Finance” (Gdf) presentato il 2 aprile. Le previsioni parlano di una crescita contenuta dell’economia mondiale quest’anno (il 2,3%) e di un’accelerazione nei prossimi due (3,2% nel 2004 e 3,1% nel 2005); nell’area dell’euro, la crescita sarebbe più lenta della media mondiale (1,4% quest’anno e 2,6% nei due successivi). Le stime si basano sull’ipotesi di una guerra di breve durata ed un tracollo dei prezzi del petrolio (da 32 dollari al barile nel primo trimestre a 29, 23 e 22 nei tre successivi, con stabilizzazione sui $ 22) in quanto 5-6 milioni di barili al giorno si aggiungerebbero all’offerta mondiale. Tuttavia, solo pochissimi esperti del mercato del greggio pensano che si assesterà sui 22 al barile. Inoltre, nel Gdf la crescita mondiale viene trainata, in parte, dai paesi in via di sviluppo in generale (4% quest’anno, 4,7% nel 2004 e 4,8% nel 2005) e da quelli asiatici in particolare (attorno al 6% l’anno nel triennio dello scenario). Ciò appare ottimista alla luce degli effetti economici dell’epidemia di Sars sull’Estremo Oriente. 

11 aprile 2003

gipennisi@agora.it


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