L’Iran vuol smarcarsi dall’asse del male
di Giuseppe Mancini

Con la fine del regime di Saddam Hussein, comincia a tener banco la riflessione sul dopoguerra: sulla ricostruzione, sulla transizione verso un’organizzazione statale più libera e aperta, sull’equilibrio tra le diverse componenti etniche e religiose del mosaico iracheno, soprattutto sul ruolo che svolgeranno in Iraq le potenze regionali. E’ infatti solo con il contributo fattivo dei paesi vicini – come ha sottolineato anche il ministro degli esteri iraniano Kharrazi – che sarà possibile assicurarvi la stabilità. E i paesi vicini maggiormente coinvolti sono la Turchia, che mai accetterebbe la creazione di un’entità statuale curda (totalmente indipendente o inserito in una cornice confederale) e che ha interessi nella regione petrolifera di Mosul e Kirkuk, anche per la presenza di una consistente minoranza ottomana; dell’Iran, anch’esso contrario alle prospettive di un Kurdistan iracheno indipendente (anche l’Iran, come la Turchia, include una fascia di territorio abitata da curdi) e legata da profondi vincoli coi correligionari sciiti che abitano il sud dell’Iraq, in cui si trovano anche i maggiori luoghi santi dello sciismo, Najaf con la tomba del primo imam Alì e Karbala.

Il coinvolgimento dell’Iran nella gestione del potere in Iraq, nel contesto geopolitico attuale, assume però un significato ancora più importante. Impegnato in una lotta interna per le riforme politiche ed economiche, affidabile sostenitore dell’intervento americano in Afghanistan, per tutta ricompensa il regime di Teheran si è ritrovato nell’asse del Male, insieme alla Corea del Nord e appunto all’Iraq. Visto il trattamento riservato a Saddam, gli iraniani hanno cominciato seriamente a temere per la loro sorte. L’Iran ha preso delle contromisure: ha fatto professione di neutralità durante il conflitto, come già avvenne nel 1991; ha evitato che le formazioni paramilitari di esuli iracheni che operano in territorio iracheno si gettassero nella mischia; ha soprattutto utilizzato il più nutrito e meglio armato gruppo di opposizione sciita, il Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq, anch’esso operante in Iraq, per provare a ritagliarsi uno spazio politico nella gestione del potere in Iraq e uno spazio economico per la ricostruzione, per lo sfruttamento delle risorse petrolifere, per il recupero dei crediti derivanti dalle riparazioni della guerra del 1980-1988, la prima guerra del Golfo.

E ancora più interessante è l’offensiva geopolitica che l’Iran ha lanciato negli ultimi mesi, intensificando i rapporti, soprattutto di natura commerciale, con i suoi tradizionali partner: l’Europa, la Russia, l’India. Cercando di mettere a profitto, per spezzare l’accerchiamento che si è venuto a creare dopo l’occupazione americana dell’Afghanistan e dell’Iraq, le sue risorse energetiche: attraverso il progetto di gasdotto che dovrebbe legare l’Iran appunto all’Iraq, attraverso le acque del Pakistan e con il sostegno tecnico dei russi della Gazprom, con benefici di carattere economico per tutti e benefici di carattere politico soprattutto per Teheran; usando la propria abilità negli scambi economici per lanciare l’idea del Corridoio Nord-Sud (Nesa), un network per via terrestre e marina in grado di collegare l’Europa all’India attraverso la Russia e l’Iran, come più rapida e meno costosa alternativa alla via di Suez. E’ sorprendente che gli Stati Uniti, invece di assecondare i tentativi molteplici di riforme di aperture all’esterno che prevalgono in Iran, invece di promuovere forme di cooperazione decisive per la stabilizzazione dell’Iraq, mantenga un atteggiamento ostile che rafforza le posizioni estremiste che a Teheran di certo non mancano. L’Europa, la Russia e l’India hanno scommesso sullo sviluppo economico e politico dell’Iran: una posizione meno rigida da parte di Washington è determinante affinché questo sviluppo si concretizzi.

11 aprile 2003

giuse.mancini@libero.it
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