Dopo Saddam: le certezze degli Usa o la nebulosità dell’Onu?
di Ludovico Incisa di Camerana

Gli scenari possibili dopo la liberazione dell’Iraq sono profondamente diversi: il modello organico e articolato che gli Stati Uniti intendono applicare è assai più chiaro dei piani ancora nebulosi delle Nazioni Unite. Lo scenario americano risponde ad una strategia precisa: in primo luogo rifare dell’Iraq il perno del Patto di Baghdad, ossia di un sistema politico-militare, l’Organizzazione del Trattato Centrale (Cento), che a suo tempo prolungava la Nato nel Medio Oriente con l’adesione della Turchia, dell’Iran e del Pakistan. Creato nel 1955, il sistema comincia a dissolversi nel 1958 con la caduta della Monarchia in Iraq e riceverà il colpo di grazia nel 1979 dall’insurrezione fondamentalista in Iran. Un Iraq, chiaramente schierato con l’Occidente, dovrebbe servire da un lato a favorire un evoluzione moderata nell’Iran, dall’altro a controllare meglio una Turchia, che, nel conflitto in corso, si è rivelata meno fidata del previsto. In secondo luogo gli Stati Uniti si propongono di riorganizzare ed aumentare la produzione petrolifera irachena, staccando eventualmente l’Iraq dall’Opec, liberando i paesi consumatori dalla capacità di ricatto sui prezzi del greggio, tuttora posseduta ed esercitata dal cartello petrolifero. In terzo luogo, basandosi sull’esperienza compiuta nel secondo dopoguerra nella promozione di libere istituzioni in Giappone, paese senza tradizioni democratiche, in Germania e in Italia, paesi già governati, non senza un largo consenso popolare, da assetti autoritari, gli Stati Uniti contano, facendo dell’Iraq un modello di democrazia, di stabilizzare progressivamente il Medio Oriente, permettendo altresì una soluzione pacifica e definitiva della questione palestinese.

A vantaggio dello scenario americano gioca la disponibilità dei mezzi necessari, analogamente a quanto si è fatto sul piano militare, ad instaurare in Iraq un apparato amministrativo civile efficiente e moderno ed a farlo assimilare dalle nuove dirigenze locali. Lo scenario Onu non offre all’Occidente alcuna garanzia né sul piano politico militare, né sul piano di una ricostruzione economica, che elevi il tenore di vita della popolazione e nel contempo favorisca, in seguito alla stabilità del prezzo del petrolio, la ripresa dell’economia occidentale, né sull’avviamento dell’Iraq - e per positivo contagio della regione adiacente - verso un regime democratico e moderno. Le esperienze compiute dall’Onu nell’amministrazione diretta di vari paesi, dalla Bosnia alla Somalia, sono state nella maggioranza dei casi negative se non disastrose e non tanto per propria colpa ma per i condizionamenti e le ingerenze che essa subisce Basta pensare che, nel caso dell’Iraq, il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ha scelto come proprio luogotenente un pachistano, ossia un cittadino di un paese, che non è un esempio di buon governo. D’altra parte è ben noto che diversi paesi, contrari all’intervento americano in Iraq, considerano l’Onu un comodo cavallo di Troia per rientrare dalla porta di servizio in un paese liberato dalle armi americane.

Non c’è, quindi, alcun affanno nobile ed umanitario nell’invocazione di alcuni governi di una tutela dell’Onu sull’Iraq: c’è semplicemente una ferrea difesa dei propri interessi nazionali. Nel caso dell’Italia, spesso trascurata dalle iniziative delle Nazioni Unite nonostante generosi contributi in uomini e contanti, il suo interesse nazionale è più compatibile con lo scenario americano, che dovrebbe assicurarle un trattamento preferenziale, anziché con lo scenario Onu che può essere utile solo a fini cosmetici. 

11 aprile 2003
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