Chi sale e chi scende nell'economia del dopoguerra
di Federico Vasoli

Entità dell’investimento e grado di rischio sono due fattori essenziali per ottenere grandi risultati, sia in positivo sia in negativo. L’Europa non ha inteso “investire” in Iraq per questioni di difesa di un “comodo” status quo (Francia) o per mancanza cronica di risorse (Italia, che nel ’91 schierò ben otto Tornado, sette dei quali rientrarono alla base perché rimasti senza benzina e uno abbattuto). Partendo da questo assunto, accettando l’ipotesi che una guerra breve e lontana da casa propria faccia da volano per l’economia e considerando che l’Unione Europea è al momento un soggetto politico ed economico pressoché irrilevante, abbiamo risolto il domandone che tutti si pongono: che sarà dell’economia dopo la guerra in Iraq? Chi ci semina raccoglierà (sia i buoni frutti, sia i frutti marci, però); chi non semina non raccoglierà.

L’Europa farà suonare la grancassa delle dichiarazioni, per assumere poi un ruolo marginale nella ricostruzione. Stati Uniti e Gran Bretagna, ora disposti a lanciare missili che da soli fanno il fatturato annuo di una piccola impresa del Nord-Est, ricostruiranno un intero paese e manterranno un duraturo controllo su una zona geografica di vitale importanza strategica. Colin Powell è stato chiaro: nessuno (nemmeno l’ONU) si sogni out of the blue di proporsi come “gestore” dell’Iraq dopo la guerra; ci siamo assunti noi questo fardello – è la sostanza del suo lineare ragionamento – e noi ci occuperemo dell’intera operazione. Della ricostruzione dello Stato che da solo ha più petrolio del Mare del Nord, del Mar Caspio e della Siberia l’ingrata e squattrinata Europa non si occuperà proprio e, dunque, non ci guadagnerà nulla. E i dati economici confermano queste prospettive: l’Italia ha ridotto le sue stime di crescita per l’anno in corso ad uno scarso 1,3 per cento (la Cina cresce sette volte tanto!), mentre per Horst Koehler, direttore generale del Fondo monetario internazionale, la crescita dell’economia tedesca sarà “significativamente inferiore” al già misero uno per cento previsto dal governo Schröder. E perfino Romano Prodi ha ammesso che l’Europa è latitante sul piano delle riforme e che la crescita è troppo bassa. Al limite, qualche briciola potrà andare a Spagna e Italia, ma dovrebbe essere poca cosa (senza contare il boicottaggio americano dei prodotti franco-tedeschi e il tendenziale isolamento di un territorio, quello degli Stati Uniti, che può permettersi tutto sommato di fare a meno degli altri).

Tutto questo, naturalmente, a patto che la situazione in Medio Oriente non si deteriori in modo drammatico e che non permanga un teso clima di incertezza legato a possibili reazioni (leggi: attentati) e a nuovi casi Enron, che tanto hanno minato la fiducia degli americani nei propri top-manager e analisti. Persa l’inviolabilità del proprio territorio, persa (temporaneamente) la fiducia nei bilanci, perso il supporto da parte di Francia e Germania  l’America e chi le vuole bene deve dare alla sua gente e al mondo l’impressione di essere nuovo solida come i suoi valori e, si spera, come il suo esercito.

28 marzo 2003

federico_vasoli@hotmail.com
stampa l'articolo