Tv: il disagio della verità plurale
di Paola Liberace

E così, eccoci ad un’altra guerra televisiva: nonostante i nuovi media continuino ad avanzare, il ruolo della Tv, in questa come nelle due guerre che l’hanno preceduta, resta fondamentale. La televisione, nel nostro paese come sugli schermi d’Europa e d’oltreoceano, non perde il suo primato di interlocutore privilegiato per chi vuol “vivere” la guerra in diretta, e non dimentica la sua missione di testimone: come dimostrano le trasmissioni sul tema, quasi tutte completamente incentrate sul fondamentale apporto degli inviati di guerra. Di fatto, non solo i Tg, ma tutte le trasmissioni di approfondimento giornalistico e persino quelle più “leggere” si sono avvalse in questi giorni della collaborazione di reporter direttamente sul luogo, molti dei quali, com’è stato già notato, sono donne (retaggio del caso Alpi e di quello Cutuli?). Immagini difficili da trovare e da trasmettere, collegamenti spesso spezzati, evidenti difficoltà a raggiungere gli inviati non hanno fermato la copertura giornalistica. Come dimostra il felice caso - se questo aggettivo potesse essere usato in condizioni del genere – del Tg del 20 marzo, quando la guerra ha fatto irruzione “in diretta”: il secondo attacco degli anglo-americani ha sorpreso la giornalista (ancora una donna) e l’operatore del Tg3 durante l'edizione delle 19, che ha quindi potuto avvalersi delle straordinarie immagini dei palazzi abbattuti dalle bombe statunitensi.

Eppure, il racconto della nuova guerra del Golfo non è fatta solo né principalmente di scene belliche. Mai come questa volta, su tutte le emittenti italiane si osserva invece una narrazione complessa, sfaccettata, che passa attraverso scenari molteplici: uffici ministeriali, piazze, chiese, accampamenti, ambasciate, frontiere, mercati borsistici, strade, persino il palcoscenico degli Oscar. I racconti dei reporter al fronte si alternano alle dichiarazioni dei generali, dei responsabili di governo di paesi alleati e non, ma anche alle dimostrazioni dei pacifisti, alle rimostranze diplomatiche, alle drammatiche immagini dei prigionieri di ambedue le parti e dei profughi in fuga, ai moniti del Papa, ai resoconti dalle capitali in fermento politico ed economico. 

L’organizzazione dei telegiornali si è “spalmata” su una varietà di avvenimenti, anziché rispettare una vera e propria struttura sequenziale; il linguaggio degli anchorman è significativo, poiché i condizionali si sono moltiplicati, per riuscire a tener dentro tutte le verità che questi avvenimenti, narrati l’uno accanto all’altro, sembrano di volta in volta svelare. L’impressione è che per questa guerra il punto di vista della nostra Tv non sia, come nel recente passato, quello della fedele restitutrice di un resoconto lineare: la vicenda bellica in Irak, che sempre di più appare di risoluzione meno facile del previsto, ha aperto numerosi punti d’attenzione, ha diviso l’Europa e l’opinione pubblica, ha stretto e guastato rapporti internazionali. Anche sugli schermi televisivi, questo sembra ormai chiaro: che su questa guerra non può ancora esserci una sola verità.

28 marzo 2003

pliberace@yahoo.it

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