"La scelta atlantica di Berlusconi
e le conseguenze della guerra"

intervista a Stefano Folli di Cristiana Vivenzio

“L’Italia guarda al dopoguerra con un sentimento ambivalente. Per il nostro paese si proiettano all’orizzonte un possibile vantaggio e un possibile danno”. In una prospettiva di medio periodo il governo Berlusconi dovrà fare i conti con la sua scelta di campo. Ne è convinto Stefano Folli, commentatore politico del Corriere della Sera.

Ma da cosa deriva il vantaggio per il nostro paese?

Certamente dalla buona relazione con gli Stati Uniti. Nonostante certi equilibrismi, Silvio Berlusconi ha saputo gestire il rapporto con Bush. Dunque l’immagine dell’Italia come partner privilegiato di Washington nell’avventura irachena (e quindi nella ricostruzione post-bellica) si è rafforzata. Non siamo “belligeranti”, ma abbiamo dato agli americani quello che più di tutto interessava loro: una chiara solidarietà, un sostegno politico che non è mai stato in discussione. Un’Italia più vicina agli Stati Uniti (nel presupposto che la guerra duri relativamente poco e si risolva nel pieno successo delle armate angloamericane) consolida il governo, nonostante i sondaggi oggi sfavorevoli. E’ un investimento politico che Berlusconi e i suoi alleati della Casa delle Libertà hanno fatto a ragion veduta. Pensando al domani, al nuovo disegno geo-strategico nell’area mediorientale, all’importanza del rapporto con la superpotenza.

Eppure vi sono paesi che hanno offerto ben di più agli Stati Uniti di una dichiarazione di solidarietà. L’Italia avrebbe potuto fare uno sforzo in più per rinsaldare il vincolo con gli Usa?

Agli occhi di Bush sarebbe stato meglio che l’Italia avesse inviato anche un contingente militare, magari solo simbolico. Così non è stato, in virtù del compromesso istituzionale siglato con il Quirinale e anche a causa delle pressioni vaticane. Ma soldati italiani, gli alpini, sono al lavoro in Afghanistan e questo in qualche modo risolve il problema.

Sul piano interno, che conseguenze ha prodotto la “scelta americana” di Berlusconi?

In chiave tattica, la scelta di Berlusconi ha spiazzato la sinistra, ha messo in crisi i suoi rapporti con l’amministrazione di Washington, ha indotto un politico accorto come D’Alema, l’ex presidente del consiglio del Kosovo, a parlare quasi il linguaggio di Bertinotti. Anche questa circostanza (sempre nell’ipotesi di un conflitto di breve durata) offre non pochi vantaggi politici, in prospettiva, alla coalizione di governo. 

Eppure il pacifismo, tanto di moda in questi giorni, lascerebbe pensare al contrario, che il sentimento antigovernativo stia montando anche per la posizione assunta dal governo nella crisi irachena… 

E’ vero. Certe ambiguità governative, volte a rassicurare la Chiesa o comunque a tenere nel debito conto le parole del Papa, non hanno guadagnato a Berlusconi le simpatie di alcun pacifista. D’altra parte il pacifismo è molto esteso, questo sì, ma il fenomeno a mio avviso è destinato a ridursi di molto in caso di rapida vittoria americana. Mentre diventerebbe una marea inarrestabile nell’altro scenario: quello apocalittico di un conflitto che non si esaurisce e anzi si allarga e incrudelisce.

Veniamo al danno, allora.

Il danno che Berlusconi dovrà sopportare riguarda proprio le incognite della guerra e non solo quelle legate alla sua durata. Sul tappeto esiste già un danno sicuro: le relazioni tra le capitali europee si sono guastate e ci vorrà tempo e molta buona volontà per ricucirle. Come ha detto l’ambasciatore francese a Roma, pur smentito dal nostro ministro degli Esteri, i rapporti tra Roma e Parigi “sono al punto più basso”. Altro problema primario, che peraltro è un’opportunità: come evitare la dissoluzione permanente delle Nazioni Unite. Nel momento in cui Blair pone a Bush la necessità di coinvolgere l’Onu nella ricostruzione dell’Iraq, ecco che si delinea anche il compito di Berlusconi. Un compito non facile, ma essenziale.

Il semestre di presidenza italiana all’Ue è alle porte. L’Italia ha tutto questo tempo? 

Purtroppo no. Il semestre italiano comincia dopodomani, potremmo dire, ossia il primo luglio. E sappiamo quante speranze il governo italiano annette a questo appuntamento. C’è da fare il bilancio della Convenzione Giscard-Amato, con le sue ipotesi di nuova Costituzione. C’è soprattutto la conferenza intergovernativa da mettere a punto. Sullo sfondo si delineano precise necessità: la politica estera e la politica di difesa comuni. Ma ricostruire i rapporti con la Francia, mediare tra le capitali divise dalla guerra, avanzare una mediazione convincente sui problemi aperti: tutto questo costituisce una grande responsabilità del governo di Roma. Purtroppo il clima in Europa continua a essere ben poco positivo, nonostante qualche timido segnale dal vertice di Bruxelles. E il semestre italiano è troppo vicino nel tempo per non autorizzare il pessimismo. Ci vorrà tutta la buona volontà e soprattutto la fantasia di Berlusconi e di Frattini per superare gli ostacoli.

28 marzo 2003

vivenzio@ideazione.com

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