Uno Stato federale per l'Iraq liberato
di Barbara Mennitti


Gli Stati Uniti non possono permettersi di combattere e vincere un'altra guerra con l'Irak solo per vedere la vittoria sprecata. Questo, secondo il documento redatto da John C. Hulsman e James Phillips dal titolo "Forging a Durable Post-War Political Settlement in Iraq" pubblicato dall'Heritage Foundation, deve rimanere il punto saldo di tutte le politiche post belliche per risolvere una volta per tutte il problema rappresentato dall'Iraq. E, soprattutto, è necessario evitare di ripetere gli errori delle amministrazioni passate: non lasciare le cose a metà, come fece l'amministrazione di Bush padre; non tentare esperimenti di "nation-building", altamente centralizzati, come quelli che Clinton ha imposto ad Haiti, in Somalia, in Kosovo e in Bosnia, destinati a fallire perché non tengono conto delle particolari caratteristiche politiche e demografiche delle zone in questione; non imporre un governo con mandato Onu, escludendo dalla gestione del potere i leader regionali iracheni. Tutte strade che hanno dimostrato di non portare in nessun luogo.

Realismo, dunque, sembra essere la nuova parola d'ordine di questo attento studio della realtà irachena, che vede il paese diviso in tre principali etnie con una distribuzione del potere e della ricchezza molto squilibrata. Perché questa guerra serva a risolvere la questione irachena, è necessario che ciascuno di questi gruppi, i curdi, gli sciiti e i sunniti, abbia (e riconosca) il suo tornaconto politico ed economico dalla rimozione di Saddam. La soluzione ideale per questa realtà potrebbe essere un sistema politico di tipo federale, sul modello degli Stati Uniti, con grande autonomia alle autorità locali, dove tutto il potere viene devoluto al livello più basso possibile e con una forma estremamente leggera di governo centrale. Un sistema federale decentralizzato, quindi, con una costituzione ricalcata sul "Great Compromise" del 1787, che assicurerebbe una adeguata rappresentanza parlamentare anche alle minoranze. Una forma statale di questo tipo permetterebbe alle singole zone di riscuotere le imposte a livello locale e di ridistribuire in maniera equa le enormi risorse del paese, ostacolerebbe il ritorno di un governo centrale tirannico che minacci la popolazione locale e i paesi confinanti, ma sarebbe allo stesso tempo abbastanza coesa e legittima da garantire l'integrità territoriale dell'Iraq e la stabilità dell'intera regione.

Ma vediamo, caso per caso, quali vantaggi trarrebbero i singoli gruppi etnici da una soluzione di questo tipo. I curdi, l'unica etnia non araba, rappresentano circa il 20 per cento della popolazione irachena, si trovano soprattutto nella no-fly zone a Nord del paese, dove si trova il 15 per cento delle riserve petrolifere dell'Iraq, ma attualmente ne usufruisce in minima parte. Il loro mezzo di sussistenza attuale deriva dal piccolo contrabbando di petrolio verso la Turchia. Con uno stato federale godrebbero di una forte autonomia locale avendo, allo stesso tempo, una voce nel governo nazionale, e trarrebbero ricchezza dalle risorse della loro regione. In cambio di questi vantaggi i curdi dovrebbero abbandonare i sogni di uno Stato indipendente che potrebbe riaccendere la sanguinosa guerra separatista nella Turchia orientale, destabilizzando tutta l'area.

Gli arabi sunniti rappresentano l'etnia che ha per lungo tempo controllato lo Stato e le risorse petrolifere, pur vivendo nella regione centrale del paese, dove queste sono relativamente poche. Saddam stesso e gran parte del suo entourage provengono da questa regione. I sunniti sono quelli che hanno meno da guadagnare da una caduta del rais, perché perderanno gran parte del loro potere. Per questo è necessario che l'occupazione militare di questa regioni si protragga fino a che gli iracheni non dimostreranno di essere pronti per governarsi da soli. In realtà, in uno Stato federale, tassando i proventi della vendita del petrolio a livello nazionale e locale, i sunniti avranno garantita la stabilità economica, nonostante la relativa scarsità di risorse petrolifere.

Gli arabi sciiti, invece, sono quelli che trarranno i maggiori profitti da questa guerra. Infatti, pur rappresentando la maggioranza della popolazione e risiedendo prevalentemente nella zona meridionale del paese, quella dei grandi giacimenti, non hanno nessuna voce nel governo iracheno o nella ridistribuzione dei proventi petroliferi. Al contrario dei curdi, che negli ultimi anni hanno ottenuto una discreta autonomia, la popolazione sciita continua a subire il regime repressivo di Saddam Hussein. E' da notare che gli sciiti iracheni sono una popolazione relativamente laica, tanto da resistere alle sirene degli Ayatollah iraniani durante la guerra dell' 1980-'88: la rivoluzione radicale islamica non li convinceva. Con lo Stato federale, gli sciiti sarebbero per la prima volta adeguatamente rappresentati a Baghdad e riceverebbero una enorme spinta economica dalla tassazione a livello locale dei proventi petroliferi, oltre a guadagnare una notevole autonomia. Sarebbero, insomma, i veri vincitori. 

28 marzo 2003

bamennitti@ideazione.com
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