“Onu da riformare, così non funziona”
intervista a Roberto Valle di Cristiana Vivenzio

Gli esperti di politica internazionale sembrano concordare su un punto: guerra o non guerra la crisi irachena ha portato al pettine alcuni nodi cruciali della politica globale del terzo millennio. L’Onu, l’Unione Europea, la coesione del mondo occidentale: quale futuro dopo la guerra a Saddam? Quali Nazioni Unite e quale politica estera dell’Europa? “Sono tutti temi sui quali sarà necessario riaprire una discussione”, afferma Robero Valle, professore di Storia dell’Europa orientale alla facoltà di Scienze politiche di Roma-La Sapienza. “Innanzi tutto per le Nazioni Unite non credo si possa parlare di un’epoca che finisce. Piuttosto mi pare un’epoca mai cominciata. Torniamo pure indietro nel tempo: durante la Guerra fredda in sede Onu i fragili rapporti di equilibrio raggiunti dalle superpotenze hanno di fatto praticamente bloccato ogni ipotesi di confronto. Allora il Palazzo di vetro poteva essere il luogo delle discussioni sui temi della politica internazionale ma le decisioni venivano prese in tutt’altre sedi”. 

E dopo la caduta del muro di Berlino?

Dopo il 1989 alcune correnti di pensiero, presenti anche in Italia - penso ad esempio alla “democrazia cosmopolita” di Daniele Archibugi - hanno creduto in un ruolo nuovo per l’Organizzazione delle Nazioni Unite che potesse assolvere alla funzione di democratizzazione del mondo. Una pura illusione. L’Onu non è stata interpellata per l’intervento della Nato nei Balcani ed oggi Bush lo ritiene praticamente un ente inutile. Il contenzioso tra Stati Uniti e Onu è aperto e rappresenta una sorta di resa dei conti. E’ per questo che non parlerei di crisi dell’Organizzazione per le Nazioni Unite, perché in effetti l’Onu non ha mai svolto fino in fondo la funzione per cui era stata creata: redimere pacificamente le controversie internazionali.

Il secondo tema riguarda l’Occidente e la spaccatura tra Europa e Stati Uniti…

Certamente questo è un aspetto dalle prospettive più interessanti e reali perché chiama in causa una visione del mondo contrapposta: l’accettazione dell’unipolarismo o la nascita del multipolarismo. E tutto questo si esprime solo formalmente in sede Onu in questi giorni. Se non si assisterà ad un riallineamento di Francia e Russia sulle posizioni americane, in quel caso prevarrà la logica multipolare di Chirac che peraltro Putin, già nel dicembre 2000 (quindi prima dell’attacco alle Torri), aveva prospettato.

Professore, da che cosa dipenderà la politica del riallineamento?

Credo che dipenda principalmente dalla posizione della Russia. E’ lì che si gioca la partita vera, perché in Russia attualmente vi sono due linee di pensiero e d’azione contrapposte: quella del ministro degli Esteri Ivanov che, sulla scia del suo predecessore, si è fatto portatore dell’eredità multipolare e quella di Putin che è più interessato a ritrovare l’armonia degli equilibri. A seconda che prevalga una delle due posizioni – credo – anche i francesi si muoveranno.

E da che dipende il prevalere di una posizione o dell’altra?

Naturalmente da questioni di opportunismo politico. Anche se, alla fine, sono convinto che prevarrà la linea Putin, che si muove soprattutto sul crinale degli interessi geoeconomici.

In che senso?

Putin sa bene che tornare all'unipolarismo significa anche la possibilità di condividere gli utili che deriverebbero dalla normalizzazione della situazione irachena. Non dimentichiamo che le elezioni presidenziali in Russia si svolgeranno nel 2004 e che la precedente campagna elettorale è stata vincente per l’attuale presidente proprio perché ha fatto leva su due elementi di propaganda: la Cecenia – di cui oggi è meglio non parlare – e la situazione economica, che ha raggiunto un livello di stabilità grazie al saldo petrolifero. Il petrolio iracheno sarebbe un ottimo carburante anche per lo sviluppo del paese e questo Putin lo sa. E il suo silenzio oggi parla più di ogni altra dichiarazione.

14 marzo 2003

vivenzio@ideazione.com

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