Serbia, una lunga catena di omicidi politici
di Franco Berlino

I proventi dei traffici di droga e di armi sono il carburante della mafia serba, un crogiuolo di criminalità organizzata e vecchio apparato politico legato a Milosevic che mina i tentativi di democratizzazione della società serba. Fin dai tempi della guerra civile innescata da Milosevic contro Slovenia e poi Croazia il territorio serbo è divenuto una specie di paradiso dei contrabbandieri, alimentato successivamente anche dall’embargo economico che solitamente deprime l’economia legale a vantaggio di quella illegale. La legge della pistola ha spesso prevalso rispetto a quella del diritto. L'uccisione del premier serbo Zoran Djindjic (già precedentemente scampato a un attentato), sebbene si tratti del livello più alto di azione criminale, è solo l'ultimo omicidio eccellente di una lunga serie di attentati a dirigenti politici avvenuti in Serbia e in Montenegro negli ultimi anni. Eccone un riepilogo.

L'11 aprile 1997 a Belgrado viene ucciso a colpi d'arma da fuoco il viceministro dell'Interno generale Radovan Stojicic che si trova a cena in un ristorante della città. Pochi mesi dopo, il 24 ottobre 1997, sempre nella capitale serba uno sconosciuto uccide con colpi di pistola Zoran Todorovic "Kundak", segretario generale del Comitato centrale della Sinistra jugoslava (Jul) e direttore della "Beopetrol" la seconda compagnia petrolifera della Federazione jugoslava.

Tre anni di tregua nella quale il paese viene scaraventato nella guerra al Kossovo e poi in quella con la Nato. La Serbia finisce sotto le bombe e capitola. Il regime di Milosevic si sgretola e tra i suoi uomini si apre una dura resa dei conti. Il 2000 è un anno drammatico per gli omicidi. Il 15 gennaio viene ucciso Zeliko Raznatovic, detto Arkan, nella hall dell'albergo Intercontinental a Belgrado. Arkan, comandante delle ''Tigri'', i paramilitari accusati di massacri in Bosnia e in Kosovo, e leader del Partito dell'unita' serba (Ssj), era ricercato dal Tribunale penale internazionale dell'Aja. Appena tre settimane e il 7 febbraio, ancora a Belgrado, alcuni sconosciuti uccidono a colpi di mitra all'interno del ristorante “Rad” il ministro della difesa jugoslavo Pavle Bulatovic (52 anni), fedelissimo del presidente Slobodan Milosevic. Il 13 maggio a Novi Sad durante l'inaugurazione di una fiera, un uomo uccide con un colpo di rivoltella Bosko Perosevic, esponente del Partito socialista serbo e capo del governo della provincia autonoma della Vojvodina. Questa volta l'attentatore viene arrestato.

E’ piena estate (il 25 agosto) quando scompare mentre sta facendo jogging, Ivan Stambolic, ex presidente serbo alla fine degli anni Ottanta, quindi estromesso dal potere da Milosevic per divergenze sulla politica economica e sul Kossovo. Il 29 gennaio scorso un uomo d'affari, che la stampa indica come il padrino della mafia di Surcin, ha rivelato che Stambolic fu rapito e ucciso da membri delle forze speciali di polizia e il suo corpo fu sepolto sul monte Avala, vicino a Belgrado.

Un posto d’onore (si fa per dire) in questa drammatica classifica spetta a Vuk Draskovic, il leader del Movimento serbo di rinnovamento, di opposizione all'allora regime di Slobodan Milosevic che subì due attentati riuscendo però in entrambi i casi a sopravvivere. Il 3 ottobre 1999 a Lazerevak, mentre viaggiava con un convoglio di tre automobili, Draskovic fu investito da un camion. Draskovic rimase leggermente ferito ma per le tre guardie del corpo e un cognato non vi fu scampo. Il 30 gennaio scorso un tribunale ha condannato a sette anni di reclusione l'ex capo dei servizi segreti Radovan Markovic per complicità. Un altro attentato contro Draskovic avvenne il 15 giugno 2000 nella sua casa di Budva, in Montenegro. Contro Draskovic vennero sparati diversi colpi che lo ferirono alla testa, forandogli tra l'altro, le orecchie.

14 marzo 2003

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