Punto militare. Arrivano i marines

Altri duemila marines sono sbarcati in Kuwait mercoledì scorso. Si tratta di un distaccamento della 15
ª Marine Expeditionary Unit di San Diego (California) che, con il sostegno dei cento uomini dell'unità speciale denominata Maritime Special Purpose Force, è andato ad infoltire il già massiccio gruppo di truppe statunitensi presente nell'emirato. Quasi la metà dei 150mila soldati americani pronti ad intervenire nel caso di un conflitto armato con l'Irak, infatti, sono attualmente di stanza in Kuwait. E la presenza statunitense (ma anche britannica ed australiana) nella regione è destinata a raddoppiare entro la metà di marzo.

Uno spiegamento di forze imponente, che negli ultimi dieci giorni si è intensificato in quantità e qualità. Il 5 febbraio, 110mila uomini della Guardia Nazionale sono stati dislocati "oltremare" in previsione di una escalation bellica, anche per rimpiazzare le truppe spostate nel Golfo dall'Europa e dall'Estremo Oriente. Nello stesso giorno, cinque enormi navi cargo (Cape Horn, Cape Henry, Cape Hudson, Admiral Callaghan e Cape Orlando, ognuna in grado di trasportare 200 unità corazzate) sono partite verso il teatro del probabile conflitto, insieme a cinquanta membri del 641° Ohio National Guard’s Quartermaster Detachment specializzati in purificazione dell'acqua. Il 6 febbraio, 200 uomini del 1109° Aviation Classification Repair Activity Depot e tutta la 101ª Airborne Division (15mila soldati e circa 300 elicotteri da combattimento) sono partiti da Fort Campbell (Kentucky) per il Golfo Persico. Nello stesso giorno, il segretario alla Difesa statunitense Donald H. Rumsfeld ha autorizzato il dislocamento della portaerei USS Kitty Hawk, che è partita dal porto giapponese di Yokosuka (dove verrà sostituita dalla USS Carl Vinson) per raggiungere le altre quattro portaerei oggi presenti nella regione: la USS Lincoln (Golfo dell'Oman), la USS Constellation (Golfo Persico), la USS Truman (Mediterraneo Orientale) e la USS Roosevelt (in viaggio verso il Mediterraneo).

Il 7 febbraio, il segretario alla Difesa britannico Geoff Hoon ha annunciato che un terzo dei jet da combattimento della Royal Air Force sono stati dislocati nel Golfo Persico. Si tratta di un centinaio di bombardieri e di 8000 uomini, che portano la presenza britannica nell'area a superare le 40mila unità. Nello stesso giorno, un numero imprecisato di F-117A Nighthawk Stealth Fighters e 150 riservisti del 4° Light Armored Reconnaissance Battalion dei marines sono partiti per il Golfo. Il 10 febbraio, sono partiti 90 marines del 1° Force Service Support Group e il 6° squadrone del 6° Cavalry Regiment (unità dotata di elicotteri da combattimento AH-64 Apache). L'11 febbraio, sono stati dislocati nel Golfo 85 membri del 5° reggimento di aviazione australiano (elicotteri CH-47) e 600 uomini del 71° Fighter Squadron (cacciabombardieri F-15 Eagle).

Entro la fine del mese, dunque, dovrebbero essere almeno 200mila i soldati a disposizione del generale Tommy Franks, comandante in capo delle forze statunitensi nell'area, per sferrare l'offensiva finale contro il regime di Saddam Hussein. Una campagna militare che, a differenza di quella condotta nel 1991 dopo l'invasione del Kuwait, vedrà un impiego massiccio di forze di terra e il tentativo di occupare stabilmente il territorio irakeno. Franks, veterano del Vietnam e compagno di scuola della first-lady Laura Bush, è conosciuto per essere un miltare "conservative", molto attento a non coinvolgere i suoi uomini in azioni troppo rischiose. Con l'avvicinarsi del terribile caldo del deserto, gli Stati Uniti avranno  bisogno di tutta la sua prudenza. (a. man.)

14 febbraio 2003

mancia@ideazione.com

stampa l'articolo