“Sarà una guerra breve e su più fronti”
intervista a Carlo Jean di Cristiana Vivenzio

Il generale Carlo Jean, professore di Studi strategici alla Luiss di Roma, non ha dubbi: "E' solo questione di tempo per la guerra e si tratterà di un conflitto lampo. A differenza della prima guerra del Golfo, infatti, gli Stati Uniti cercheranno di concludere la guerra in tempi brevissimi – spiega Jean – per due fondamentali motivi”.

Quali, generale?

Da una parte per ragioni economiche, limitare quanto più possibile l’aumento del prezzo del petrolio; dall’altra per una ragione di politica interna agli Stati Uniti, perché sul fronte interno oggi il sostegno alla guerra è minore di dieci anni fa, e sappiamo quanta incidenza possa avere un’opposizione dell’opinione pubblica americana.

Questo che cosa comporterà dal punto di vista militare?

Nel ’91 la guerra fu condotta in due fasi, fu avviato prima un prolungato attacco aereo e poi si diede luogo all’intervento delle forze terrestri. Oggi presumibilmente l’attacco  dovrebbe avvenire contemporaneamente via aria e via terra proprio per accorciare quanto più possibile i tempi d’azione.

E dal punto di vista della strategia dell’intervento?

Nella prima guerra contro l’Irak l’attacco avvenne da Sud, attraverso Arabia Saudita e Kuwait. L'impegno militare del prossimo conflitto si consumerà invece su più fronti. Da Nord, innanzi tutto, dalla Turchia, che in questa guerra svolgerà un ruolo strategico fondamentale. Ma non è escluso che gli Stati Uniti tentino di conquistare immediatamente la zona Ovest dell’Irak, grazie all'azione di truppe speciali, per mettere Israele al riparo da tentativi di attacchi ma anche per porre sotto controllo dei pozzi petroliferi iracheni. Ci sono poi gli accordi stabiliti tra Giordania e Usa che consentono agli statunitensi di transitare su territorio giordano per svolgere missioni di soccorso. Ma che cosa significhi poi svolgere missioni di soccorso è ancora tutto da stabilire. Gli americani potrebbero decidere di attaccare da quel fronte mantenendo come le basi nello Stato di Israele.

Una strategia complessa. Ma chi affiancherà gli Stati Uniti in questa guerra? E, soprattutto, come viene considerato in questo momento dall'Amministrazione americana il ruolo dell’Europa?

Per gli Stati Uniti le posizioni europee ora come ora diventano trascurabili. E gli Usa non si faranno condizionare da null’altro che non sia la propria opinione pubblica. Del resto, con l’appoggio della Gran Bretagna, dell’Australia e del Kuwait, con il pieno sostegno della Turchia, quello non dichiarato ma sostanziale dell’Iran, con l’astensione della Russia - che significa, di fatto, un appoggio fondamentale - non credo che le posizioni di Francia e Germania influenzino molto le scelte di Bush.

E il ruolo dell’Italia?

Devo ammettere che l’Italia ha giocato la sua partita molto bene. Si è trovata nel mezzo di una ambiguità politica che è risultata vincente. Il nostro paese serve agli Stati Uniti per fare da ponte con la Russia, e in questa direzione Berlusconi si è mosso con successo nel suo viaggio a Mosca, ma l’Italia può costituire anche una valida via di fuga dall’angolo in cui si è spinta da sola la Francia. Con una buona azione diplomatica italiana i francesi potrebbero tornare in qualsiasi momento sulle proprie posizioni.

E un intervento diretto delle truppe italiane?

Mi sembra estremamente improbabile. E’ probabile invece un nostro intervento nella fase di immediato post-conflitto. 

14 febbraio 2002

vivenzio@ideazione.com
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