La coalizione dei contrari
di James S. Robbins

Gli ultimi giorni sono stati eccitanti per gli studiosi di geopolitica classica. Due organizzazioni internazionali, le Nazioni Unite e la Nato, sono scosse da blocchi di Stati membri che perseguono interessi nazionali divergenti. Così facendo dimostrano che le organizzazioni di questo tipo non sono entità sopranazionali con interessi e obiettivi costituiti, ma semplicemente arene alternate dove i paesi perseguono le loro politiche con altri mezzi. Dentro e fuori l’Onu, con o senza la Nato, i paesi hanno lo stesso comportamento egoista che hanno sempre avuto e sempre avranno. E’ tanto sfacciato da essere rinfrescante.

Il blocco franco-russo-tededesco si trova a fronteggiare l’altrettanto determinata coalizione americano-britannico-spagnola-portoghese-italiana-più-un gruppetto-di-altri-paesi. I dettagli del “piano segreto” franco-tedesco per evitare l’intervento armato in Iraq sono approssimativi, forse perché è un segreto insolitamente molto ben mantenuto o perché, come il “piano segreto” di Richard Nixon per porre fine alla guerra del Vietnam, ancora non esiste. La Russia ha detto che appoggerà il piano, qualunque esso sia. La Germania ha affermato che la proposta non prevede l’invio di pacieri in Iraq, come riportato inizialmente, ma sostiene il “decisivo rinforzo” del regime degli ispettori. (Forse si potrebbe raggiungere un compromesso chiamando “ispettori” i 18 mila soldati di terra della coalizione).

Visto che Saddam non ha mostrato alcun rimorso per non aver collaborato in maniera significativa con gli ispettori, non si capisce perché un numero maggiore di essi dovrebbe dare risultati migliori o perché attenuare la minaccia della forza dovrebbe convincere questo incallito dittatore realista che i suoi nemici fanno sul serio. Ma per la coalizione dei contrari vi sono in gioco interessi molto più grandi delle questioni imminenti in Iraq, per esempio:

1.Il tentativo di frenare gli Stati Uniti. Tutti i paesi vorrebbero che gli Stati Uniti smettessero di comportarsi come un egemone mondiale, specialmente quando si tratta dell’uso della forza militare, campo in cui gli altri sono svantaggiati. La Germania si considera la prima potenza economica di un’Europa unita e non ha particolare desiderio di estendere militarmente la sua influenza o di vedere usato con tanta efficacia lo strumento militare. La Francia ha pretese europee simili e la Russia, naturalmente, non vuole che gli Stati Uniti diventino ancora più forti di quelli che hanno causato il crollo dell’impero sovietico.

2. La necessità di rimanere importanti. E’ difficile rimanere importanti quando si viene ignorati. La Francia, in particolare, si aggrappa al suo status di grande potenza che si fonda unicamente sul legittimo possesso di armi nucleari e sul seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza, entrambe eredità degli accordi del dopoguerra, da lungo tempo superati dalla realtà. La Russia è in una situazione simile, ma con in più la complicazione di un Pnl pro capite inferiore a quello delle Samoa americane. La Germania, naturalmente, cerca di far passare per una virtù il fatto che i suoi precedenti tentativi di guadagnare una rilevanza internazionale hanno portato alle disposizioni costituzionali che proibiscono la maggior parte delle azioni militari all’estero. 

3. Evitare precedenti svantaggiosi. Tutti e tre i paesi preferirebbero che le azioni degli Usa rimanessero nell’ambito delle Nazioni Unite. La guerra per coalizioni è già abbastanza brutta; futuri cambiamenti di regime indotti unilateralmente dagli Stati Uniti sarebbero intollerabili. 

4. Preoccuparsi dei musulmani nel loro paese e all’estero. Questi paesi ospitano cospicue minoranze musulmane e appoggiare una guerra in Iraq potrebbe causare problemi di diverso tipo. Inoltre, pensano di ingraziarsi i musulmani fiancheggiandoli nel dibattito contro la guerra. Questo non riguarda propriamente la Russia, come dimostrano le sue azioni in Cecenia. 

5. Opporsi al cambiamento di regime in Iraq. Baghdad deve decine di miliardi di dollari alla Francia e alla Russia. Nessuno sa se questi debiti sopravvivranno al trasferimento di potere o diventeranno un “regalo della comunità internazionale”. 

6. Petrolio. Per la questione del petrolio vale la pena di spendere qualche parola in più. Il noto mantra “No alla guerra per il petrolio” assume un significato interessante quando si parla di questi Paesi, specialmente della Francia. Una guerra in Iraq avrebbe effetti molto negativi sulle prospettive economiche francesi nella regione. (Perché essa dovrebbe portare ovvi vantaggi agli Stati Uniti lo spiegano meglio quelli che si oppongono alla guerra, visto che a me non è chiaro). Attualmente la Francia è il principale partner commerciale dell’Iraq ed è fortemente coinvolta nello sviluppo energetico della regione medio orientale. Il gigante energetico francese, Total Fina Elf, ha recentemente collegato nell’Iran meridionale il più grande giacimento di gas offshore del mondo, insieme alla compagnia russa di gas naturale Gazprom e alla compagnia malese Petronas. La Total Fina Elf ha contratti petroliferi di svariati miliardi di dollari con l’Iraq che, a causa delle risoluzioni dell’Onu, non sono ancora stati firmati e non possono diventare operativi finché le sanzioni non saranno abolite. La russa Lukoil ha un accordo simile per 4 miliardi di dollari per sviluppare il giacimento petrolifero iracheno del Qurnah occidentale, ma recentemente un Saddam indignato ha annullato il patto perché la Russia aveva stabilito dei contatti con l’opposizione irachena. Sembra che di questi tempi Saddam non si possa fidare di nessuno.

Una questione insoluta è se vi sarà una successione automatica degli accordi esistenti nel caso in cui il regime di Saddam dovesse essere rovesciato. Un cambiamento di regime potrebbe causare un avvicendamento delle fortune a favore soprattutto delle compagnie petrolifere americane e britanniche. Così dice la teoria. Tuttavia è da notare che il Kuwait non ha esteso questo accesso privilegiato alle compagnie petrolifere americane e si tratta di un paese che deve la sua stessa esistenza agli Stati Uniti. Ma tutto questo sarà da vedere se scoppia la guerra, perché probabilmente i pozzi di petrolio non sopravvivranno. Saddam cercherà di distruggere gli impianti di produzione di petrolio iracheni per non consegnarli ai suoi potenziali successori. Chiunque erediterà quelle rovine in fiamme dovrà affrontare anni di ricostruzione e investimenti miliardari per ripristinare la completa produzione irachena. Non è esattamente un affare ma se non si combatterà la guerra, i pozzi di petrolio sopravvivranno, le sanzioni verranno abolite e i contratti diventeranno operativi. Il fatto che gli interessi petroliferi francesi tendono ad allontanare il conflitto potenziale è un’ironia sulla quale i verdi devono riflettere.

In definitiva il piano segreto, se esiste, sarà presentato al consiglio di Sicurezza dove potrà andare incontro al veto degli Usa o del Regno Unito. Gli Stati Uniti stanno facendo lo stesso gioco perseguendo una risoluzione per un ricorso alla forza più massiccio, che i francesi, i russi o i cinesi, ultimamente un po’ sottomessi, possono bloccare col veto, se lo decidono. Ma questo lascerebbe in vigore la Risoluzione 1441, sostenuta dalla coalizione, che autorizza l’uso della forza se l’Iraq dimostra di non collaborare, che è quello che è successo finora.

Nel frattempo, sul fronte Nato, la Francia e la Germania, seguite dai prodi belgi, hanno bloccato le richieste turche di iniziare a preparare le difese in vista di possibili conseguenze dell’attacco della coalizione all’Iraq (specialmente se viene sferrato in parte dal suolo turco). Chi si oppone sostiene che la Nato può agire solo se il pericolo è imminente. I turchi hanno risposto invocando l’articolo IV che esige consultazioni fra gli stati membri se uno di essi si sente minacciato. Finora l’articolo è stato invocato solo una volta, dalla Turchia nel 1991 in circostanze simili. Naturalmente la Turchia può stabilire queste difese come vuole in quanto stato sovrano e può chiedere assistenza a qualsiasi paese voglia farlo. I dissenzienti franco-belgo-tedeschi hanno dichiarato che naturalmente correranno in soccorso della Turchia in caso di reale emergenza, ma anche soltanto prepararsi a farlo aumenterebbe le probabilità della guerra. In risposta i turchi potrebbero portare alla loro attenzione la volontà di Francia, Germania e persino del Belgio di impegnarsi in un attacco probabilmente illegale contro la Serbia nel 1999.

Un altro importante sviluppo è stata la disponibilità di alcuni paesi dell’Europa orientale, aspiranti membri della Nato, a fornire aiuto nello sforzo bellico. Questo è dovuto in parte al fatto che, al contrario dei liberali americani, essi sanno come è davvero finita la guerra fredda e attribuiscono il merito della loro libertà a Ronald Reagan e non a Mikhail Gorbaciov. Ma, cosa più importante, affrontano ancora la realtà geopolitica di avere la Russia affianco e vogliono che gli Stati Uniti rimangano in Europa a proteggerli. La Russia, naturalmente, ha cercato di cacciare gli Usa dal continente fin dal 1945, un’altra ragione per schierarsi con la Francia e la Germania.

Complessivamente l’iniziativa spetta alla coalizione. Lo impongono i fatti. Alla fine si userà la forza, se necessario, malgrado quello che francesi, tedeschi e russi faranno o non faranno. I francesi si sono coerentemente riservati il diritto di partecipare alla guerra se lo ritengono necessario (al contrario della Germania che ha detto che non parteciperà in nessun caso). Non risponderà agli interessi francesi astenersi dalla guerra se scoppierà. Stanno seguendo uno schema simile a quello del 1990-91. Allora la Francia cercò tenacemente di evitare l’uso della forza contro l’Iraq e anche pochi giorni prima dell’inizio dell’operazione Desert Storm presentò una proposta avallata dalla Germania e dal Belgio fra gli altri (fra cui l’Olp e la Libia). Ma quando questa iniziativa fallì, il Primo Ministro Michel Rochard dichiarò che: “In ogni operazione di polizia internazionale arriva il momento fatale in cui si deve agire. Ahimè dopo tutto quello che abbiamo fatto per evitarlo, quel momento è ora arrivato”. L’assemblea francese votò, 523 voti contro 43, a favore del messaggio di guerra del Presidente Francois Mitterand. (Pochi giorni prima il Parlamento americano aveva votato una risoluzione simile, approvata con 250 voti contro 183). Alla fine i francesi saliranno a bordo. Dovranno fare parte della squadra vincente per avere un pezzo della pace. In realtà non mi sorprenderebbe vedere le forze francesi entrare per prime a Baghdad. Dopo che si è finito di sparare, intendo. 

14 febbraio 2003

(
traduzione dall'inglese di Barbara Mennitti
da National Review on-line dell'11 febbraio 2002)

stampa l'articolo