Europa: Parigi-Berlino, l’asse del nulla
di Pierluigi Mennitti

C’è qualcosa di forzato nel tentativo franco-tedesco di riproporre un asse portante per l’Europa, basandolo sull’opposizione alla guerra contro Saddam. Le celebrazioni di Versailles per il quarantesimo anniversario del Trattato di amicizia tra i due paesi non hanno sopito questa impressione. I sorrisi eccessivi tra Chirac e Schröder, l’enfasi data a un sodalizio vissuto negli ultimi anni con poca intensità e passione, la pretesa di dettare la linea a un’Unione composta da 15 paesi e che si appresta a diventare di 25. Tutto è apparso troppo ostentato e non ha mascherato una goffa fuga in avanti che non potrà fare il bene dell’Europa. L’unica cosa certa ed evidente è che seguendo la linea precipitosamente tracciata dai due leader “euro-continentali” si rischia di minare quell’alleanza “euro-atlantica” che ha sorretto le sorti dell’Occidente e che oggi si trova di fronte alla sua prima sfida del dopo guerra fredda.

L’asse Parigi-Berlino che si vorrebbe imporre all’intero continente è l’unione di due debolezze, quella geopolitica di una Francia alla ricerca della grandeur perduta e quella economica di una Germania persa in una crisi strutturale. Due debolezze non possono fare alcuna forza. Neppure se a sostenere questa architrave è il professor Prodi, presidente-paradosso di una commissione che pencola a sinistra in un’Europa i cui Stati e il cui parlamento registrano una maggioranza di centro-destra. Alle differenze ideologiche si sovrappongono anche quelle statali: Gran Bretagna, Italia e Spagna, nazioni il cui peso è crescente negli affari europei, si sono sfilate dall’abbraccio franco-tedesco preferendo giocare la carta di una mediazione il cui sbocco resta quello di tenersi fedeli alle alleanze certe, piuttosto che imbarcarsi in avventure dall’incerto futuro. E i nuovi paesi dell’Europa dell’Est (già entrati a pieno titolo nelle strutture militari della Nato) non hanno alcun interesse a infilarsi in un asse che non promette nulla.

Parigi e Berlino, in realtà, propongono una vaga alternativa strategica all’alleanza euro-atlantica: ma la loro azione può essere devastante per l’Europa. Il nuovo asse nasconde interessi contingenti, ma solo per la Francia legata a contratti economici remunerativi nell’area del Golfo. In Germania è tutta un’altra storia. E l’antiamericanismo, diffuso velenosamente da Schröder in campagna elettorale, è l’ingrediente fondamentale di un progetto egemonico per l’intero continente a guida tedesca. Il cancelliere avrebbe avuto tutto il tempo di recuperare un rapporto con gli Usa dopo le elezioni, magari seguendo gli astuti passi diplomatici verso Washington del suo ministro degli Esteri, Joschka Fischer. Ma non l’ha fatto. Oggi guida una Germania impaurita dalla crisi economica e spaventata dal dramma occupazionale dei suoi giovani. E prova a spostare la partita sul piano internazionale, cercando di imporre con scarsa accortezza diplomatica una posizione ideologica a tutta l’Europa. Ci chiediamo cosa ci sia di saggio nel cedere alle pulsioni di una Germania impoverita e spaventata: nella storia europea gli assi non hanno mai portato bene.

31 gennaio 2003

pmennitti@ideazione.com
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