Il ritorno degli Stati-nazione
intervista a Ludovico Incisa di Camerana di Cristiana Vivenzio

Dopo il riavvicinamento tra Germania e Francia a Versailles, le recenti dichiarazioni di Powell sul ruolo dell’Italia nella guerra e l’imminente presentazione al Consiglio di sicurezza dell’Onu delle prove sull’Irak raccolte dall’intelligence Usa, dopo i viaggi di Berlusconi a Washington e Mosca e l’incontro Blair-Chirac di inizio febbraio, gli scenari di guerra si fanno sempre più nitidi. Eppure gli interessi in campo, soprattutto tra Stati Uniti ed Europa e all’interno di quest’ultima tra i diversi paesi dell’Unione sembrano spesso divergere, portando i protagonisti a seguire percorsi differenti d’azione. Gli interessi nazionali sembrano tornare al centro delle scelte politiche dei singoli paesi. Tutti temi all’ordine del giorno su cui interviene Ludovico Incisa di Camerana, ambasciatore per molti anni in America latina, esperto di materie internazionali, attualmente direttore dell’Istituto latino americano.

Ambasciatore, quali conseguenze produrranno nello scenario internazionale le recenti dichiarazioni sulla guerra di Chirac e Schröder a Versailles? Siamo forse, come scriveva Giuliano Ferrara sul Foglio, di fronte alla riproposizione di un’Europa che si pone su posizioni che privilegiano una politica anti-atlantica e d’appeasement?

Non parlerei di politica anti-atlantica e di appeasement, mi riferirei piuttosto ad una costante nazionalista, ad un gollismo aggiornato, ampiamente condiviso in Francia da destra e sinistra, incorporato in versione tedesca dopo la caduta del muro di Berlino. Francia e Germania ritengono dopo la fine della guerra fredda di non aver più bisogno degli Stati Uniti e ritengono egualmente che solo sganciando l’Europa dagli Usa si possa determinare un assetto del vecchio continente favorevole ai propri interessi nazionali. Quanto alle conseguenze di un simile atteggiamento, il cui risvolto pacifista è puramente strumentale, sullo scenario internazionale, mi sembra che contribuisca più a confonderlo che a chiarirlo.

Si può parlare di una spaccatura interna al mondo occidentale tra potenze continentali e potenze marittime in merito alla guerra e alla definizione di un nuovo assetto nel Medio Oriente?

Forse non esiste una spaccatura, ma certamente esiste una vocazione diversa. La Germania è essenzialmente una potenza continentale terrestre, che ha sempre cercato di espandersi nei territori contigui. La Francia le assomiglia: il suo colonialismo è stato un ripiego dopo la sconfitta nel 1870, quando la Germania le ha strappato l’egemonia continentale, l’egemonia europea. Non va dimenticato che Napoleone ha rinunciato alla Luisiana, la testa di ponte francese nell’America del Nord, il nucleo di un possibile impero atlantico franco–americano. Nel Mediterraneo e nel Levante la Francia non ha mai sfidato la supremazia britannica. Potenze marittime sono, viceversa, oltre alla Gran Bretagna, l’Italia, secondo la tradizione delle nostre repubbliche mercantili, la Spagna, che ha mantenuto per tre secoli un impero nelle Americhe. La posizione di queste tre potenze più vicina a quella degli Stati Uniti nella valutazione della situazione del Medio Oriente rispecchia quindi la loro predestinazione geopolitica.

Quali prospettive segnano le dichiarazioni di Chirac e Schröder nella definizione del ruolo dell’Europa nel contesto mondiale?

Solo una leadership interna capace di rilanciare l’economia continentale, ora ingabbiata dalla Banca Europea di Francoforte e da una Commissione europea priva di idee e di progettualità, può imporre al resto d’Europa un’egemonia positiva che non dipenda da una ripresa americana e quindi anche dalla politica estera degli Stati Uniti. Nell’attesa il ruolo “mondiale” dell’Europa continuerà ad essere sfuggente ed inconsistente e prevarranno gli interessi nazionali dei singoli paesi: in altre parole ognuno andrà per conto suo e il ruolo mondiale dell’Occidente s’identificherà sempre di più con quello degli Stati Uniti.

Come si pongono in questo quadro i partner europei?

La lista delle alleanze europee, risultante dalle recenti dichiarazione americane, denuncia che l’asse franco–tedesco non avrà l’onnipotenza conseguita nel 1963 dopo gli accordi De Gaulle–Adenauer (e il poco intelligente rifiuto dell’Italia di associarsi al duetto) nell’Europa a sei e mantenuta nell’Europa a quindici. L’allineamento sulla posizione americana verso l’Irak di paesi dell’Europa dell’Est come la Polonia e l’Ungheria dimostra che essi considerano l’adesione all’Ue come un corollario del loro ingresso nel Patto atlantico e quindi saranno in un’Europa allargata, l’Europa dei 25, tutt’altro che favorevoli a prese di posizioni diverse da quella degli Usa. In altri termini i margini operativi dell’asse Parigi–Berlino si restringeranno, non si allargheranno.

Qual è il ruolo dell’Italia? E soprattutto quale l’interesse nazionale del nostro paese? 

L’interesse nazionale dell’Italia è quello di evitare in futuro ricatti energetici. Per noi è un problema di sicurezza avere in Medio Oriente governi stabili e filooccidentali. In questo senso vi sono ampi punti di convergenza con gli Stati Uniti. Ciò significa non rassegnarsi ad un ruolo passivo, ma piuttosto adoperarsi anche in via bilaterale, come nel caso dei nostri rapporti con l’Iran, per ampliare la sfera d’influenza occidentale.

31 gennaio 2003

vivenzio@ideazione.com

stampa l'articolo