Il lungo silenzio del Cremlino
di Stefano Magni
In Europa ci si interroga, giustamente, sulla modalità con cui i Russi
hanno condotto il raid per liberare oltre 700 ostaggi dai terroristi
ceceni in un teatro moscovita. L’operazione è stata condotta con una
violenza e un’approssimazione tali da far pensare seriamente che non si
tratti di mera incapacità. E’ possibile che le truppe speciali russe
abbiano usato un gas di cui non conoscevano gli effetti? Che abbiano
sbagliato le dosi e le modalità del suo impiego? Come è possibile che
un’operazione che doveva portare allo stordimento rapido dei terroristi
ceceni, così da prevenire un loro gesto estremo, abbia condotto alla
morte di circa 120 ostaggi? Più di quelli che i terroristi stessi
avevano annunciato di voler uccidere nel corso delle trattative? A
questi pressanti interrogativi, il Cremlino risponde con il silenzio più
assoluto, al punto che gli stessi parenti delle vittime sono tenuti
all’oscuro di tutto, tanto da non potersi nemmeno recare all’ospedale a
dar conforto ai loro cari.
La questione ricorda il mancato recupero del sommergibile “Kursk”. Anche
in quel caso, alla morte di un intero equipaggio, dovuta soprattutto al
rifiuto delle autorità russe di accettare da subito l’aiuto della marina
norvegese, si rispose con un assordante silenzio da parte di Mosca. Si
ingannarono i parenti delle vittime, non si diede loro alcuna
spiegazione, si negò a lungo l’evidenza dei fatti e si mossero perfino
accuse ufficiose alla Nato, responsabile, secondo alcuni ufficiali,
dell’affondamento stesso del “Kursk”. Un caso analogo, nel passato
recente dell’Unione Sovietica, fu Chernobyl. Anche in quel caso,
l’esplosione di un reattore, dovuto a un ordine assurdo dato dalle
autorità sovietiche, fu tenuto nascosto. Al punto di non evacuare (e non
avvertire nemmeno) la popolazione locale; di non rivelare neppure ai
vigili del fuoco, accorsi sul posto, che cosa avrebbero dovuto spegnere.
Un ordine errato e il rifiuto di dire la verità sull’accaduto, hanno
provocato centinaia di vittime.
In questi giorni le autorità russe stanno dando un’identica prova di
omertà. Non è stata rivelata la natura del gas che ha causato la strage
di innocenti, nemmeno ai medici civili che, sovraccarichi di lavoro,
hanno iniziato ad agire alla cieca. Il tradizionale silenzio delle
autorità sovietiche prima e russe poi, sta diventando una drammatica
tradizione, che da adito a molti dubbi. L’esplosione del reattore a
Chernobyl non fu dovuta solo a un guasto tecnico, ma soprattutto a un
ordine deliberato: testare un sistema di sicurezza in condizioni
critiche. Nel caso del “Kursk” non si sa ancora nulla di certo sulle
cause del suo affondamento e del suo mancato recupero. Viene da pensare
che, per gli alti ufficiali della marina russa, fosse più importante
nascondere le debolezze di un sommergibile classe “Oscar” agli occhi
“indiscreti” di soccorritori occidentali e della stessa opinione
pubblica russa, piuttosto che cercare di salvare la vita a un intero
equipaggio. Nella storia della marina sovietica, vi sono sufficienti
casi di “disattenzione voluta” da permettere di dubitare sulla buona
fede degli ufficiali russi. Ad esempio, nel passato recente della Guerra
Fredda, erano state deliberatamente rimosse dai sommergibili della
classe “November” (denominazione Natp), le paratie anti-radiazioni,
indispensabili per proteggere la salute dell’equipaggio, al fine di
raggiungere una velocità maggiore rispetto ai contemporanei sommergibili
della Nato.
Di fronte a precedenti di questo tipo, è legittimo pensare che il
pompaggio di gas tossico in un teatro affollato di ostaggi, in dosi tali
da ucciderne a centinaia, non sia solo un errore. E’ possibile che sia
dovuto a un ordine calcolato. Ciò che emerge drammaticamente da questi
casi, del passato come del presente, è la mentalità delle autorità di
Mosca: raggiungere un fine, indipendentemente dai mezzi impiegati e dai
“danni collaterali” provocati. Testare reattori in condizioni critiche,
mantenere il segreto su sistemi d’arma difettosi, costruire sommergibili
più veloci di quelli del nemico, uccidere dei terroristi nemici,
appaiono come variabili indipendenti agli occhi di Mosca: sono obiettivi
che devono essere perseguiti a tutti i costi, indipendentemente dalle
perdite subite e dai danni materiali creati nel perseguirli. Non si
tratterebbe, dunque, di errori causati da mancanza di tecnologie
raffinate, o di capacità nell’usarle al meglio, bensì di scelte mosse
nel nome di una visione del mondo ben precisa, che non riconosce
l’esistenza di diritti individuali e che è volta unicamente al
perseguimento di finalità collettive e astratte. Prima Mosca agiva nel
nome della diffusione della rivoluzione bolscevica nel mondo, oggi nel
nome del prestigio e dell’interesse nazionale russo. La sostanza non
cambia: gli obiettivi di Mosca trascendono gli interessi e la stessa
vita dei singoli individui. Il silenzio del Cremlino verso l’opinione
pubblica, fatta di semplici individui che vogliono solo conoscere la
realtà dei fatti, rientra in questa stessa logica.
29 ottobre 2002
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