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        L'escalation del terroredi Barbara Mennitti
 
 Immagini di un anno di sangue cominciato l’11 settembre del 2001. I due 
        aerei che si infilano nelle Twin Towers di New York, come se fosse il 
        brutto film di un regista splatter. Gli occhi di tutto il mondo sgranati 
        e impietriti davanti alle immagini in diretta su tutte le emittenti del 
        globo, la gente che fugge per le strade di Manhattan urlando di terrore, 
        le persone che si sbracciano dalle finestre delle torri e poi, incapaci 
        di contenere tanto orrore, si lanciano giù in voli troppo lunghi. 
        Davanti ai nostri occhi. Le torri che crollano come se fossero fatte di 
        sabbia, “non sembra più neanche New York” si sussurra fra le lacrime e 
        appare troppo brutto per essere vero. Ma lo è; l’Occidente è colpito nel 
        suo simbolo più sfolgorante dalla mano nera di Al Qaeda, la rete 
        terroristica internazionale capeggiata da un losco figuro saudita che 
        risponde al nome di Osama bin Laden e che presto saremo costretti a 
        conoscere.
 
 Indonesia, ottobre 2002, Bali, un piccolo paradiso marino, affollato da 
        turisti in pantaloncini e camicie fiorate. Una bomba esplode in una 
        discoteca frequentata principalmente da occidentali e non c’è scampo per 
        nessuno. La morte arriva ballando per centonovanta ragazzi inermi, quasi 
        tutti occidentali, dilaniati da un odio cieco e fondamentalista che non 
        aveva niente a che vedere con le loro vite. Anche qui compare l’ombra 
        nera di Al Qaeda. Filippine, pochi giorni dopo, Zamboanga, città in gran 
        parte cristiana del Sud del paese. Un centro commerciale come tanti con 
        la gente che si affretta a fare compere e le massaie che fanno la spesa, 
        inconsapevoli di essere già le vittime da sacrificare al terribile dio 
        musulmano. Una serie di ordigni esplodono, il centro commerciale si 
        trasforma in un inferno. Dell’eccidio sono accusati i guerriglieri 
        islamici di Abu Sayyaf, collegati alla rete di Al Qaeda.
 
 Mosca, 23 ottobre, nel grande teatro Dubrovka, gremito di spettatori, va 
        in scena un musical. Improvvisamente un commando di terroristi ceceni, 
        una cinquantina, sequestra teatro e ottocento spettatori. Sono ragazzi 
        spietati, con lo sguardo indurito da una guerra in cui si è perso il 
        conto delle efferatezze e, ormai, non si sa più chi ha torto o ragione. 
        Al loro fianco compaiono ragazze vestite di nero, con il volto coperto 
        dallo chador (che non si usa in Cecenia), gli occhi di chi non ha niente 
        da perdere e la vita cinta di tritolo. Sono disposti a morire, anzi 
        vogliono morire, per liberare la loro terra dai russi, e a portare nel 
        loro martirio ottocento persone che con quella guerra non hanno niente 
        in comune. Il resto, o meglio quello che per ora si sa del resto, è 
        cronaca di questi giorni. Le teste di cuoio russe, con metodi forse un 
        po’ troppo sovietici, fanno irruzione nel teatro, inondandolo di un gas 
        misterioso. I terroristi muoiono tutti e con loro, finora, 117 ostaggi 
        intossicati dalla ignota arma chimica. Ci rimarranno sempre negli occhi, 
        come testamento di queste giornate, le immagini delle ragazze cecene, 
        riverse, come se fossero profondamente addormentate, sulle sedie della 
        platea e quella di un ragazzino biondo a torso nudo, immobile (morto? 
        Svenuto?) sul sedile di un autobus che portava via, insieme, vivi e 
        morti. Anche qui, strani modelli comportamentali non propri della 
        cultura cecena sembrano condurre dritti dritti ad Al Qaeda.
 
 Abbiamo scelto solo quattro storie di questo lungo anno di sangue, senza 
        menzionare il Pakistan, la Tunisia, lo Yemen o Israele, dove gli 
        attentati dei terroristi di al Fatah scandiscono ormai la quotidianità. 
        Ma cosa sta succedendo? Fior di politologi ed esimi commentatori non ci 
        avevano forse spiegato che era tutta colpa degli Stati Uniti e del loro 
        strisciante colonialismo? Non era colpa di Hollywood, del vuoto di 
        valori e del capitalismo? E allora perché Bali, perché le Filippine? E, 
        soprattutto, perché la Russia che fino a poco fa era il modello e anche 
        un po’ il santo protettore di tanti paesi islamici e, ancora oggi, è 
        l’unica che può opporre un serio veto alla guerra contro l’Iraq? La 
        sensazione è che si stia scatenando una vera e propria guerra santa dei 
        figli di Allah che, grazie ad una rete ramificata in tutto il mondo 
        islamico, riesce ad insinuarsi in ogni conflitto territoriale o politico 
        in cui siano coinvolti dei musulmani. Forse è anche per questo che 
        stiamo assistendo ad una preoccupante diffusione del fondamentalismo in 
        zone che finora ospitavano un Islam moderato. E allora, forse, è giunto 
        il momento di aprire gli occhi e di stringerci intorno ai valori 
        innegabili di democrazia e libertà, patrimonio di tutti, che la nostra 
        civiltà ha conquistato. Con il sangue. Uomini misogini e barbuti, che 
        sembrano materializzarsi dal Medioevo e che non hanno rispetto per la 
        vita umana, neanche per la propria, ci stanno tirando per i capelli, 
        mentre siamo in discoteca, al supermercato, al lavoro, in una guerra 
        vigliacca e crudele. Loro così si guadagnano il paradiso, per noi c’è 
        solo l’inferno.
 
        
        29 ottobre 2002
 bamennitti@ideazione.com
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