Estoril /1. Ppe a congresso, in ballo il futuro dell’Europa

A quasi due anni di distanza dalla svolta di Berlino, il Partito popolare europeo torna a riunirsi, questa volta in Portogallo. Estoril, sciccoso luogo di vacanze sulla costa, a 40 chilometri da Lisbona, ospiterà il quindicesimo congresso. All’ombra del famoso casinò, in un luogo che fu un famoso punto d’incontro del bel mondo continentale (nonché ambiguo ricovero di spie durante la seconda guerra mondiale), i popolari europei presentano la loro proposta di una nuova Europa. Così come la immaginano dopo il profondo rinnovamento istituzionale cui l’Unione sta andando incontro. Se il congresso di Berlino servì a rimodulare la natura politica del partito, innestando sul tronco popolare e cristiano democratico la tradizione liberale e conservatrice dei nuovi partiti aderenti, il congresso di Estoril si rivolge all’esterno, meglio all’Europa. Dopo un intenso dibattito, non privo di scontri aperti e che probabilmente non si esaurirà nell’agone congressuale, il Ppe presenta una proposta elaborata e articolata sul futuro dell’Unione: “Una Costituzione per un’Europa forte” è il titolo dell’assise e anche del documento.

Si tratta del primo (e finora unico) documento che un raggruppamento politico continentale riesce a produrre sul domani dell’Europa. Elaborato dal presidente del partito, il belga Wilfried Martens e dal tedesco Wolfgang Scäuble, risente nella sua impostazione generale della posizione tradizionale del Ppe che, sul piano europeo, ha sempre privilegiato il livello comunitario a quello intergovernativo. Si propone di contribuire (e forse velatamente di condizionare) i lavori della Convenzione che, dopo la fase di ascolto, è pronta ad entrare nel merito delle questioni più scottanti. L’obiettivo è quello di dotare Bruxelles dell’impalcatura istituzionale necessaria ad affrontare le sfide ormai alle porte: allargamento ai paesi dell’Europa centro-orientale e rafforzamento del ruolo internazionale dell’Unione, democraticizzazione della vita istituzionale ed efficacia dell’azione di governo. In una parola, l’Europa è di fronte a un problema di crescita: o razionalizza se stessa, dotandosi degli strumenti (e degli obiettivi) necessari, o muore.

Le tesi dibattute, gli emendamenti presentati sono più ampiamente trattati nell’articolo successivo. Qui è sufficiente ricondurre la divergenza di opinioni alle due grandi idee d’Europa che si fronteggiano di questi tempi: l’idea di un’Europa federale, un quasi Stato che rafforzi il livello comunitario delle decisioni (più forza alla Commissione e al Parlamento, meno agli Stati nazionali) e quella di un’Europa intergovernativa, nella quale i singoli Stati mantengano ampie fette di potere senza delegarlo a istituzioni troppo lontane dai cittadini. Queste due linee tagliano trasversalmente anche il Partito popolare europeo, con Belgio, Olanda, Germania e democristiani italiani (ulivisti e polisti) attestati sul fronte federalista mentre gli scandinavi e i francesi propendono per il fronte intergovernativo. Al centro spagnoli e forzisti italiani, pronti alla mediazione tra le due anime ma in realtà più vicini al fronte intergovernativo. Il fatto che molti leader del Ppe siano oggi capi di governo ha inevitabilmente rafforzato il fronte intergovernativo. I giorni del congresso ci diranno se il Ppe riuscirà a trovare un compromesso vincente. L’una e l’altra posizione, comunque, non potrà evitare di affrontare da un punto di vista tecnico la strettoia che l’allargamento del 2004 impone. Referendum irlandese permettendo. (p. men)

11 ottobre 2002

pmennitti@ideazione.com

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