Ma la guerra può essere inutile. Anche per Bush
di Giuseppe Mancini
Il discorso di Bush a Cincinnati, lunedì 7 ottobre, non è servito ad
annunciare alcuna decisione, né a rivelare eclatanti novità su Saddam
Hussein o sulle intenzioni americane di sbarazzarsi di lui. Il tono e
gli elementi del discorso del presidente degli Stati Uniti sono stati
gli stessi che prevalgono da quando bin Laden e lo sceicco Omar, nella
guerra mediatica al terrorismo, sono scomparsi quasi del tutto di scena.
Saddam è un dittatore sanguinario, è un terrorista, possiede armi di
distruzione di massa e le ha già usate, ha fatto decapitare i suoi
oppositori politici e ne ha fatto stuprare le mogli: lo scontato
campionario allarmista e truculento dell’ovvio. Con due eccezioni:
primo, Bush ha fatto riferimento alla possibilità che Saddam attacchi
gli Stati Uniti con veicoli senza pilota imbottiti di armi chimiche e
batteriologice; secondo, ha annunciato che l’azione militare contro
l’Irak non è né imminente né inevitabile.
Che Bush si sia convertito all’opzione “ispettori dell’Onu”? Se però
mettiamo in fila le condizioni chieste a Saddam per evitare l’attacco
americano, la guerra è invece sempre più probabile. Con
l’autorizzazione, o senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza
dell’Onu; con gli alleati, o senza alleati: la guerra è in ogni caso
imminente.Una guerra per sbarazzarsi di un nemico pericoloso e ben
armato, una guerra per porre sotto il controllo Usa le risorse
energetiche mediorientali, una guerra per riempire il vuoto politico che
– dopo l’abdicazione del Regno Unito e il crollo del regime dello Shah
di Persia – nel golfo Persico provoca un’instabilità che si diffonde in
tutto il mondo. Una guerra – è questa la tentazione delle ultime
settimane – per portare la democrazia in tutto il Medio Oriente, in cui
per effetto domino si convertirebbero alla fede democratica dei
neo-conservatori americani le autocrazie oggi imperanti: l’Iran, la
Siria, l’Arabia Saudita, persino l’Anp di Arafat. Ma ci vuole proprio la
forza per diffondere le nostre libertà fondamentali e la nostra forma
laica di Stato? È proprio necessario bombardare Baghdad, Tehran, Damasco
e Riyad (almeno la Mecca, credo verrebbe risparmiata)? Siamo davvero
sicuri che, come afferma il Consigliere per la sicurezza nazionale
Condoleezza Rice, i soldati americani verranno accolti da liberatori?
Oppure converrebbe puntare sull’addestramento degli oppositori interni,
ormai in esilio da decenni, dalle credenziali oscure ma non
rassicuranti?
La realtà è che lo sviluppo di un sistema democratico, dello Stato di
diritto e di un sistema di salvaguardia per le libertà fondamentali ha
bisogno di tempo e dell’adesione convinta della popolazione. Obiettivi
di lungo periodo si raggiungono solo attraverso approcci politici e
strategie di lungo periodo: le scorciatoie, al contrario, possono essere
dannose. Per questo motivo, se il reale obiettivo degli Stati Uniti è
quello di trasformare il Medio Oriente e di renderlo libero dai regimi
autoritari ed economicamente prospero, potrebbero cominciare ad
appoggiare le forze democratiche che nei paesi arabi non mancano. Si è
scelto invece di sostenere i mujahidin afgani, con le conseguenze che
tutti conosciamo; si sono chiusi tutti e due gli occhi sulle politiche
ambigue dell’autocrazia saudita; non si è stati attenti – sempre da
parte statunitense – ai continui appelli al dialogo dei riformatori
iraniani – anzi, sono stati indiscriminatamente inseriti in un non
meglio definito “asse del Male”. Per un progetto così ambizioso, quale
la democratizzazione di un insieme di Stati in cui la democrazia non è
mai esistita, occorrerebbero pazienza e lungimiranza: doti che alcuni
scriteriati consiglieri del presidente Bush sembrano non avere.
Se invece l’obiettivo principale degli Stati Uniti è solo quello di
proteggersi dalle armi di distruzione di massa di Saddam (ordigni
nucleari ancora non ne ha: ma a quelli già hanno pensato India, Pakistan
e Israele), forse gli ispettori dell’Unmovic un qualche ruolo da giocare
potrebbero ancora avercelo. Se l’obiettivo principale è poi il petrolio,
allora l’invasione e l’occupazione sono davvero lo strumento migliore,
anche per spezzare il cartello dell’Opec. Se infine l’obiettivo è quello
di sbarazzarsi del cattivo Saddam, l’opzione del “silver bullet”,
dell’operazione d’intelligence per eliminare fisicamente il presidente
iracheno, permetterebbe di annullare i costi – finanziari e umani –
della guerra. Probabilmente, un altro uomo forte si insedierebbe a
Baghdad, magari più spietato e ambizioso di Saddam Ma fino a quando
l’opzione democratica per il Medio Oriente non verrà promossa con
intelligente responsabilità e nel lungo periodo (e non, come oggi, in
situazione d’emergenza e con zelo missionario), in un sistema fragile e
solo superficialmente democratico, perché imposto dall’esterno e non
condiviso dalla popolazione, i dittatori saranno sempre molto, troppo
vicini al potere. Come autorevolmente ribadito il recentissimo Arab
Development Report, l’ostacolo maggiore allo sviluppo economico dei
paesi arabi è proprio la mancanza di libertà politiche ed economiche: ma
la guerra non serve a crearle dal nulla.
11 ottobre 2002
giuse.mancini@libero.it
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