Politica estera, durerà lo strappo tedesco?
dal nostro inviato


BERLINO. La Germania si scopre più americana, ma solo per quanto riguarda la campagna elettorale mediatica. Per il resto, mai come questa volta, il divario che separa i tedeschi dai loro (un tempo) adorati alleati americani è enorme. Sul video i due candidati alla Cancelleria si scontrano in un duello copiato dai format Usa, diviso in due puntate, la prima sulle reti private, la seconda su quelle pubbliche. La par condicio, da queste parti, riguarda i media, non la politica. Dal video, invece, i due candidati fanno a gara nel prendere le distanze dall'ipotesi di un intervento americano in Irak: una sottile, impercettibile differenza tra il democristiano e il socialdemocratico, ma tutti e due pronti a giurare che la Germania resterà fuori dal conflitto in Medio Oriente. Solleticano l'elettorato che, indifferentemente di destra o di sinistra, si riscopre pacifista, odia l'America e non ha alcuna intenzione di dividere con l'Occidente le responsabilità di una risposta al terrorismo.

E' quella che gli altri paesi europei ormai chiamano la deriva tedesca. La nuova tentazione di isolazionismo che attanaglia il ventre di un paese in difficoltà, che reagisce alla crisi ripiegando su se stesso, lasciando trasparire il proprio egoismo e le proprie comodità. Che poi queste comodità poggino sul sacrificio lontano di tanti giovani americani è cosa che si perde nella notte dei tempi. L'America, chissà perché, non è più il paese delle libertà ma quello dell'oppressione. Imperialismo, arroganza, prevaricazione: tutto l'armamentario dell'antiglobalismo straccione è diventato vocabolario comune della politica tedesca e non c'è nessuno che abbia il coraggio di riprendere la rotta maestra di un'alleanza atlantica che tanto benessere e tanta libertà ha portato in queste terre, tanto benessere e tanta libertà quanta la Germania, nel corso della sua storia turbolenta, mai aveva conosciuto.

Si perde così, nei meandri di una campagna elettorale all'ultimo sangue, il baluardo dell'Occidente, quello Stato che aveva rappresentato la frontiera più dura negli anni della Guerra Fredda. Sembrano più occidentali i nuovi arrivati dell'Est, la Polonia di Kwasniewski o la Romania di Nastase, due prodotti del postcomunismo dell'Europa orientale. Il resto del continente guarda un po' attonito gli strappi di Schröder e i suoi accenti comuni con la sinistra più estrema: le cancellerie abbozzano ma restano sbalordite da una posizione che di giorno in giorno, di dichiarazione in dichiarazione, si fa sempre più irrecuperabile. Arriverà il 22 settembre e si vedrà se la demagogia del cancelliere e del suo governo rosso-verde si stempererà nei giorni successivi. O se il suo sfidante, magari vittorioso, riporterà il gigante d'Europa sui binari di una politica estera occidentale. (p. men)

13 settembre 2002



 

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