Iran: l’UE sceglie la strada dell’integrazione
di Giuseppe Mancini
Il bastone e la carota, le sanzioni e i negoziati, la retorica e il
realismo. La strategia degli Stati Uniti verso l’Iran è basata sul
contenimento geopolitico e sull’isolamento politico ed economico;
l’Europa, invece, punta all’integrazione di Tehran nei circuiti
internazionali, soprattutto dopo l’elezione di Khatami (presidente della
Repubblica Islamica dal 1997). Il 17 giugno, i ministri degli Esteri dei
15 hanno deciso l’avvio delle consultazioni per un Trattato di commercio
e cooperazione, da negoziare in parallelo ad intese di carattere
politico, che promuovano la collaborazione nel campo dei diritti umani e
nella lotta contro il terrorismo e contro il traffico di droga. La
formula scelta rappresenta la chiave di volta della posizione politica
dell’UE: i trattati di libero commercio, infatti, sono negoziati dalla
Commissione e non devono essere ratificati dai parlamenti nazionali (è
necessaria solo la ratifica del parlamento europeo), al contrario di
quanto avviene per accordi di natura politica. Un processo a 2 fasi,
ancorché parallele, rende insomma meno complesso l’avvicinamento tra
Europa e Iran.
Gli Stati Uniti, invece, sembrano incapaci di liberarsi dell’approccio
clintoniano del doppio contenimento, che ha accomunato Iran e Irak come
bersagli privilegiati di un’offensiva diplomatica – e militare, nel caso
dell’Irak – spietata e improduttiva. Anzi, a conti fatti
controproducente. Il discorso di Bush sull’asse del male – formato, a
quanto pare, da Corea del Nord, Irak e appunto Iran – è solo l’ultimo e
più minaccioso passo verso lo scontro frontale, di cui le sanzioni
economiche nei confronti di chi investe in Iran (il Lybia-Iran Sanctions
Act del 1995) sono un altro odioso caposaldo. La politica americana, a
conti fatti, ha favorito le posizioni più oltranziste all’interno del
variegato spettro politico iraniano, creando invece ostacoli in serie ai
riformatori e modernizzatori del presidente Khatami. Riformatori che
hanno come obiettivo di fondo quello di rendere l’Iran un paese più
libero e più democratico, perfettamente integrato nella comunità
internazionale, in cui la crescita economica possa risolvere i problemi
sociali innescati anche da una violenta esplosione demografica.
L’Unione Europa, anche per iniziativa del Commissario alle relazioni
esterne Patten (sostenuto con più esplicita convinzione da Italia,
Francia, Spagna e Grecia), ha invece compreso che solo un sostegno
effettivo alla politica di Khatami può neutralizzare i rigurgiti
rivoluzionari di chi ancora percepisce l’Occidente come una minaccia. E
un sostegno effettivo alla politica di Khatami significa, in primissimo
luogo, aiutare l’Iran a creare un sistema economico moderno, basato
sugli investimenti stranieri e sulle esportazioni, orientato al mercato
e alla diversificazione produttiva, non più solo dipendenti dalle
materie prime energetiche (petrolio e gas naturale). Se l’Iran non
riuscisse a risolvere i problemi economici in cui si dibatte, il rischio
sarebbe quello di una completa disgregazione di carattere insieme
sociale e politico: un rischio che la già turbolenta area mediorientale
non è in grado di correre.
Tra l’altro, da un punto di vista geopolitico un rapporto di
collaborazione con l’Iran appare indispensabile: per restituirgli quel
ruolo di stabilità in Asia Centrale e nel Golfo Persico che ha
storicamente avuto. Avere Tehran definitivamente dalla propria parte,
nel rispetto delle differenze politiche pur esistenti (soprattutto per
quanto riguarda il conflitto in Palestina), sarebbe determinante per
garantire la sopravvivenza al nuovo Afghanistan, per neutralizzare il
regime iracheno ed evitare una pericolosissima corse alle spoglie
dell’Irak dopo la fine del regime di Saddam (in qualunque modo essa
avvenga), soprattutto per combattere con maggiori probabilità di
vittoria la lotta contro il terrorismo internazionale.
21 giugno 2002
giuse.mancini@libero.it
|