Corea del Nord: il più temibile degli stati canaglia
di Rodolfo Bastianelli

Tra i paesi inclusi dal presidente americano George Bush nell'asse del male il più pericoloso è sicuramente la Corea del Nord. Chiuso al mondo esterno e praticamente inaccessibile ai visitatori stranieri, il regime nordcoreano è quello di cui rimane più difficile prevedere i comportamenti e le azioni proprio per la mancanza di informazioni disponibili ed attendibili. Economicamente Pyongyang è vicina al collasso, le industrie sono ferme per mancanza di energia e pezzi di ricambio, le infrastrutture vanno in rovina ed i servizi pubblici come la scuola e la sanità, un tempo vanto del regime, operano in condizioni di estrema difficoltà e senza mezzi adeguati. Le città di notte rimangono praticamente al buio, mentre almeno un milione di nordcoreani rischia solo quest'anno di morire per la carestia e le inondazioni che da quasi dieci anni colpiscono il paese. Quello che è stata definita "una monarchia ereditaria comunista" è una nazione paranoica, dove la popolazione è suddivisa in tre categorie classificate a seconda delle simpatie per il regime e delle origini familiari dei componenti, dove a capo dello stato vi è un presidente eterno defunto da otto anni e dove la propaganda ufficiale attribuisce al leader Kim Jong doti e poteri soprannaturali.

Tuttavia, nonostante la gravissima crisi economica, la Corea del Nord mantiene un esercito forte di oltre 1.055.000 effettivi e 4.700.000 riservisti, disponendo inoltre di considerevoli quantità di armi chimiche e batteriologiche, tra cui, secondo indiscrezioni, vi sarebbero anche stock non dichiarati di vaiolo. Da anni inoltre il regime nordcoreano sta sviluppando un programma missilistico particolarmente importante ed una delle principali entrate in valuta nordcoreane proviene proprio dalla vendita di missili a paesi inseriti dal dipartimento di stato nella lista di quelli sostenitori del terrorismo. Secondo gli osservatori infatti Pyongyang, dopo aver testato negli anni Novanta il missile "Nodong", capace di colpire a 1.300 - 1.500 chilometri di distanza, starebbe puntando ora sul più potente e sofisticato "Taepodong" , mentre secondo alcuni scienziati nordcoreani fuggiti in Corea del Sud sarebbe addirittura allo studio un vettore dalla gittata di oltre 10.000 chilometri, che seguendo la rotta polare sarebbe quindi in grado di raggiungere anche l'Europa. Sul piano politico i toni usati dalla Casa Bianca segnano quindi una svolta rispetto alle aperture effettuate da Clinton, che aveva offerto a Pyongyang un sostanzioso pacchetto di aiuti e la costruzione di due reattori per uso civile in cambio del congelamento del programma atomico nordcoreano e dell'accesso di ispettori internazionali ai suoi siti nucleari, ai quali però non è stato mai consentito l'ingresso nel paese.

Eppure, nonostante tutto, la Corea del Nord ben difficilmente diventerà il bersaglio di un attacco americano. La vicinanza di Seoul al 38° parallelo, che con ogni probabilità subirebbe con effetti devastanti la rappresaglia militare di Pyongyang, rendono problematica un'azione militare, senza contare che la Corea del Sud ed il Giappone hanno già espresso a Washington la loro contrarietà all'uso della forza. Pensare di rovesciare o indebolire il regime è poi praticamente impossibile. Quella nordcoreana è una società chiusa ed impermeabile, dove non circolano idee e non esiste alcuna forma organizzata di dissenso ed in cui le uniche informazioni ricevute dalla popolazione sono quelle diramate dal regime, in quanto le radio e le televisioni possono sintonizzarsi esclusivamente sui canali ufficiali. Un crollo del regime nordcoreano avrebbe poi conseguenze notevoli per la stabilità della regione. Come affermano gli esperti sudcoreani, l'implosione della Corea del Nord costringerebbe Seoul a farsi carico della riunificazione con dei costi che l'economia del Paese non è in grado di affrontare. Esiste poi anche chi ritiene controproducente usare una linea dura nei confronti di Pyongyang dato che il regime nordcoreano non avrebbe nessuna capacità per utilizzare armi di distruzione di massa e che l'unica strada percorribile per far uscire la Corea del Nord dall'isolamento sia quella della trattativa e del dialogo, come ha sempre affermato il presidente sudcoreano Kim Dae-jung. A quasi sessanta anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, il muro che divide la Corea rimane l'ultima reliquia di quella che fu la "guerra fredda". Una reliquia che però ancora oggi nessuno sa come sbarazzarsene.

10 maggio 2002

rodolfobastianelli@tiscalinet.it


 

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